AVAT�RA � LA DISCESA DEL SIGNORE Paolo Magnone � Lingua e Letteratura Sanscrita (Univ. Cattolica di Milano)
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Comincia una serie di interventi del prof. Paolo Magnone, gi� pubblicati, alla fine degli anni '80, sulla rivista Abstracta. La breve serie analizzer�, uno alla volta, le figure di alcuni degli avat�ra pi� interessanti tra quelli proposti dalla mitologia indiana. Riproponiamo integralmente gli articoli cos� come furono allora pubblicati.
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Tra tutte le figure che popolano il lussureggiante immaginario religioso dell�Induismo, l� avat�ra � certo una di quelle che hanno trovato pi� vasta eco in Occidente. Un motivo ne � senza dubbio che l�avat�ra ha una maniera seducente di coniugare una confortevole familiarit� con un esotismo stimolante. L�avat�ra � il Signore �disceso� nel mondo per redimerlo dal male: un�immagine familiare ai Cristiani (o piuttosto, semplicemente, a noi Europei, i quali, si ricorder�, secondo Croce �non potevamo non dirci Cristiani� (1) ), che proprio perci� rischia di catturare la nostra comprensione entro l�angusto recinto della nostra esperienza. Pure, dobbiamo guardarci da questa maniera poco proficua di affrontare il diverso, che lo riduce ad una mera variet� del simile, con un� appendice di esotismo inessenziale. La giusta via parte invece inevitabilmente dal simile, ma altrettanto inevitabilmente se ne diparte per metter capo altrove � al diverso, appunto.Che cosa � dunque l�avat�ra ? Apprendiamolo dalle labbra dell�avat�ra per eccellenza, Krsna, che proclama ad Arjuna sul campo di battaglia, sul campo del dharma (2) ove si giuocano i destini dei regni della terra:Ogniqualvolta il dharma langue e vige l�adharma, o Bh�rata, Io effondo me stesso; per proteggere i buoni e sterminare i malvagi, per ristabilire il dharma di et� in et� Io vengo all�essere (3) .Nella densit� primigenia di queste strofe famose, variamente riprodotte o riecheggiate in una miriade di testi, riposa insieme il nucleo fondamentale della dottrina dell�avat�ra e la matrice di ogni sviluppo posteriore. In esse troviamo enunciati in una concisione quasi aforistica tutti gli elementi fondamentali dell�avat�ra: la finalizzazione etica, la virtuale infinit� delle manifestazioni, il quadro ciclico ed escatologico, la bipolarit� ed alternanza della compagine etica cosmica; oltre, naturalmente, all�ineffabilit� della fenomenizzazione divina. Per cogliere pi� pienamente la peculiarit� di tali tratti distintivi dell�avat�ra, giova porre il passo della G�t� a contrasto con un passo dell�Epistola ai Galati di struttura sorprendentemente simile, e perci� tanto pi� capace di illuminare le differenze. Dice Paolo:Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio invi� suo Figlio, fatto da donna, fatto sotto la legge, per redimere coloro che erano sotto la legge, perch� ricevessimo l�adozione di figli (4) . La differenza pi� ovvia non � perci� meno capitale. �Dio mand� suo Figlio�: la puntualit� dell�evento unico, significata dall�aoristo, con il suo unico protagonista: il Figlio, l�Incarnato. �Ogni volta Io effondo me stesso�: la circolarit� dell�iterazione indefinita, significata dal presente, con la serie virtualmente infinita delle autoemanazioni polimorfe dell�unico Signore. Ci� che nella G�t� � appena accennato (yad� yad�, �ogniqualvolta�...) i Pur�na (5) riprenderanno traducendolo nel loro formulario prodigiosamente iperbolico con la dottrina delle miriadi di manifestazioni: �Migliaia di manifestazioni sono gi� pi� volte trascorse, e pi� ancora ne verranno, quante non � possibile contare� (6) .Ma l�unicit� del Cristo e la pluralit� degli avat�ra non sono che l�appariscente corollario di una divergenza pi� profonda e riposta, che siede nei penetrali della metafisica del Tempo. Lo sfondo della proiezione indefinita degli avat�ra non � il tempo che ci � familiare: il tempo dell�ora presente in precipite aggetto sul domani spalancato, la storia che senza posa seppellisce il passato nel futuro incombente. In questo tempo scocca bens� l�evento privilegiato dell�Incarnato, inviato nella pienezza del tempo � plhrwma tou cronou � a riscattare il passato e a inaugurare irrevocabilmente il futuro della salvezza, quale discrimine della storia. Ma l�avat�ra ha un tempo pi� pacato e forse pi� abissale, la ronda immutabile dell�ombra intorno allo gnomone, l�eternit� che si travasa nei giorni in una mimesi vertiginosa e inesausta. L�ombra si allunga ripercorrendo il cammino del giorno declinante, e si dissolve nella sera per rinascere a identico destino: cos� si susseguono gli eoni, segnati dall�ombra montante dell� adharma lungo il cammino ricorrente delle et� (7) ; l�avat�ra discende in questo stesso cammino, yuge yuge, nelle crisi che scandiscono la spirale involutiva delle et�, per riportare instancabilmente alla cosmicit� originaria l�universo che incessantemente frana nel caos. Il tempo indiano non � il teatro neutrale degli eventi, che gli eventi qualificano, ma � intrinsecamente qualitativo, piega gli eventi secondo la propria qualit� che di continuo degenera, dall�attimo creativo del distacco dall�eternit�.Su questo sfondo, l�opera dell�avat�ra � essa stessa segnata dalla malignit� del tempo, e il suo trionfo non � che passeggero. Il dharma vacilla. Il dharma � il fondamento stabilito, la legge micro� e macro�cosmica; ma nell�immagine puranica il dharma � una vacca che si regge a stento perdendo via via il sostegno di una zampa per influsso del tempo declinante: l�avat�ra interviene ogniqualvolta si minaccia la caduta. Ascoltiamo l�ammaestramento del dio Brahm�:Nell�et� krta il dharma ha quattro zampe, e Visnu � di carnagione bianca; non vi sono carestie n� malattie, n� morte prematura, la terra produce messi senza aratura e le vacche danno copioso latte; non vi � passione n� ira, paura, avidit�, egoismo o invidia. |
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Nella successiva et� tret�
il
dharma
rimane con sole tre zampe, e Visnu
si fa vermiglio; gli uomini sono longevi, compiono sacrifici per ottenere
ci� che desiderano e non agiscono sotto l�impulso delle passioni, ma
esercitano la penitenza, la castit�, le abluzioni e le offerte, le
preghiere e le oblazioni. Viene quindi l�et�
dv�para,
allorch� il dharma
ha non ha pi� che due zampe e Visnu assume
un color fulvo; le preghiere, i sacrifici e le penitenze sono motivati
dalla brama dei frutti; il mondo � diviso tra bene e male, i re si
disputano il dominio della terra e conquistano il cielo purificandosi con
i riti sacrificali. Quarta viene la funesta et�
kali;
il dharma
pencola terrorizzato su un�unica zampa, e
Visnu
ha una tinta fosca; la malvagit� ha il sopravvento, con l�illusione e
l�egoismo, la passione, l�ira e la paura; i re agognano alle ricchezze e
sono accecati dalla cupidigia, gli uomini hanno vita breve, la terra �
avara di messi e le vacche di latte, le caste rigenerate non hanno virt�,
gli uomini sono fraudolenti e dediti ai piaceri del palato e del sesso,
bugiardi e scellerati; a sedici anni incanutiscono, mentre le donne
s�ingravidano a dodici anni; a poco a poco le caste si contaminano, gli
stadi della vita si confondono e tutto si uniforma; i riti e gli
ordinamenti perenni delle stirpi periscono, e i luoghi sacri, profanati
dai barbari, perdono la loro potenza
(8) . |
In questo decorso fatale, fino all�apocatastasi che all�imo di kali inaugura una nuova et� dell�oro, egualmente predestinata, l�avat�ra non interferisce, ma piuttosto lo asseconda, preservando la lisi dalla crisi sempre latente nel precario equilibrio del dharma. L�Incarnato � venuto una volta per tutte a trionfare della morte (9) offrendo agli uomini l�adozione di figli; l�opera dell�avat�ra, dal canto suo, � meno epocale e conclusiva. Il suo scopo precipuo � di �ristabilire il dharma�; ma, pi� precisamente, il termine sanscrito samsth�pana significa nella sua accezione primaria �rimettere in piedi (un cavallo caduto)�: l�avat�ra rimette in piedi la vacca zoppa dell�ordine socio-cosmico, senza poterla guarire. Se la guarigione non � possibile, � perch� sotto l�influsso nefasto del tempo al dharma � indissolubilmente connaturato il seme dell�adharma. L�avat�ra protegge i buoni e stermina i malvagi, come recita il passo della G�t�; pure, lo sterminio non � mai definitivo, n� � veramente necessario o possibile che lo sia, perch� nell�universo culturale indiano luce e ombra sono entrambi relativi e complementari, come due facce di un�unica medaglia: la realt� suprema, che, essa, � al di l� di luce e ombra (10) . Questa visione dialettica della struttura etica trova rappresentazione emblematica in uno dei temi pi� cospicui dell�intera letteratura puranica: il daiv�sura, la battaglia incessante tra d�i e titani per il predominio, scandita dagli innumerevoli mitologemi che vi si inseriscono a guisa di episodi, perpetuamente riaccesa e fatalmente irrisolta; in essa l�immaginazione simbolica ha esemplificato il pendolo cosmico tra dharma e adharma all�interno della pi� vasta ciclicit� degli eoni. Gli avat�ra servono allo scopo della restaurazione del dharma � in effetti, a garantire la continuit� dell�oscillazione del pendolo, giacch� ogni intervento divino, mentre ristabilisce il potere degli d�i, pone le premesse di un prossimo prevalere dei titani. Il Signore discende in forma di cinghiale per uccidere il titano Hirany�ksa che ha usurpato il trono celeste � ma l�uccisione accende propositi di vendetta nel fratello Hiranyaka�ipu, che s�impadronir� a sua volta del trimundio finch� la nuova discesa dell�uomo�leone non avr� ragione anche di lui. La faida continua nella maniera usuale tramite il nipote Bali, ma continua anche in una forma pi� inconsueta, peculiare all�India: � Hiranyaka�ipu stesso che fa le proprie vendette, inesorabilmente ricondotto sulla terra dal proprio karman a vestire i panni di R�vana dalle dieci teste, la cui sconfitta ad opera dell�avat�ra R�ma D��arathi � celebrata nel R�m�yana (11) . Immune dalla cesura naturale della morte, il filo � ripreso e intessuto nel grande arazzo del Mah�bh�rata (12) : R�vana si reincarna nel re �i�upala, nemico inveterato di Krsna, e trova la morte per mano di questi, mentre B�na, figlio di Bali, viene mutilato delle mille braccia dal suo disco.
La storia non ha alcun epilogo possibile, perch� � in s� stessa soltanto un episodio di un processo senza fine. Nella giostra vorticosa ci� che sembra smarrirsi senza rimedio � il senso. Una risposta alla questione teleologica che ci urge potrebbe essere che il fine � immanente all�azione, che il daiv�sura o la contesa cosmica (13) gioisce di s� stessa: � la risposta implicita nella dottrina della creazione come l�l�, giuoco di Dio. La sua giustificazione � nel pensiero che il cozzo degli opposti nel traboccare dell�illusione di nomi-e-forme (14) non � che il rovescio dell�ineffabilit� essenziale: ci� che �non � cos�, non � cos� (15) � immanifestabile, oppure pu� esser manifestato in molti modi, anzi in tutti (16) . Ma � una risposta parziale; il senso totale della fantasmagoria del daiv�sura si ritrova solo nella prospettiva della salvezza. Se questa non ci appare appannaggio immediato dell�avat�ra come lo � dell�Incarnato, � perch� lo precede e lo ingloba come cifra ubiquitaria dell�Induismo. Molti sono i cammini che conducono all�altra sponda, ma tutti cominciano su questa sponda, e non � possibile passare, se non da qui. Per coloro che ancora ambiscono ai frutti: ricchezza, bellezza, paradiso, solo questo � il terreno dove seminarli con le opere (17) . Per coloro che ormai aspirano alla liberazione, solo questo � il teatro dove la Natura danza dinanzi al S� finch� questi non realizzi la sua condizione di spettatore impassibile (18) . In questo campo di battaglia, in questo campo del avat�ra si compie tutta la parabola della creatura, e per questo campo l�avat�ra discende, non a salvare ma a fondare la possibilit� perpetua della salvezza: l�avat�ra non viene per l�Uomo, ma viene per la Terra. La vocazione si manifesta nel nome. Ges� � il divino Salvatore (19) . Per l�avat�ra l�etimologia � pi� elusiva, ed esige la sinergia vivificante del mito. La radice sanscrita tr esprime la nozione di �traversare�, cui il preverbio ava aggiunge la specificazione di �gi��: in prima approssimazione, l�avat�ra � dunque �colui che discende�, ma ci� non esaurisce la ricchezza allusiva della parola, maturata in un�evoluzione plurisecolare. L�origine della metafora della discesa � negli antecedenti mitici della grande guerra dei Bh�rata: si narra nel primo libro del Mah�bh�rata (20) che principi di stirpe titanica si erano incarnati in mezzo agli uomini e tribolavano le creature; la terra stessa, oppressa sotto il loro peso sovrumano, invoca aiuto: tutti gli d�i discendono sulla terra con una porzione di s� stessi sotto spoglie diverse per �scaricare� (avatarana) il �peso� (bh�ra) che grava la terra.
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Dal mito epico procede il clich� puranico. Tipicamente, la terra personificata nella dea Prthiv�, in procinto di sprofondare sotto il peso insostenibile dei viventi proliferati a dismisura, si presenta supplice in cielo per impetrare l�aiuto divino: bh�r�vatarana � l�azione salutare del Signore supremo, che a un tempo �discende� (avatarati) e �fa discendere� (avat�rayati) (21) , ovvero scarica la zavorra che incorpora lo squilibrio del dharma (22) . L�avat�ra � dunque �colui che discende�, ma soprattutto �colui che rimuove�; il Signore discende ogni qualvolta si renda necessario per rimuovere il fardello della Terra: in questo singolare e prezioso nodo linguistico, incentrato sull�avat�ra come autore dell�avatarana e dell�avat�rana, l�Induismo ha colto l�opportunit� di coimplicare il passaggio, la fenomenizzazione dell�Assoluto, e il suo scopo, la preservazione della Terra come campo del dharma (23) attraverso l�eliminazione dello squilibrio dell�adharma simboleggiato nel �peso�.
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Visnu circondato dai 10 avat�ra principali (Miniatura del XIII sec. - Jaipur).
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Per alleviare la Terra o per umiliare la tracotanza dei titani il Signore si foggia di volta in volta il corpo pi� adatto allo scopo: la pi� �esotica� fra le peculiarit� dell�avat�ra � il suo proteiforme trasformismo. L�Incarnato � �fatto da donna�, e �Figlio dell�Uomo� � il suo appellativo per antonomasia, poco meno frequente nelle Scritture dell�altro, complementare, di �Figlio di Dio�; e vero Uomo e vero Dio doveva essere per assumere il ruolo di mediatore, sacerdote e vittima sacrificale nell�istituire la nuova ed eterna alleanza tra Dio e Uomo. Viceversa, leggiamo nel Bh�gavata Pur�na: Tra gli d�i e i veggenti, o Signore, tra gli uomini e gli animali terrestri e acquatici tu bench� ingenerato prendi nascita, o onnipotente arbitro del destino, per reprimere l�arroganza dei malvagi e mostrare il tuo favore ai buoni (24).
L�avat�ra
non � mediatore ma giustiziere, non sacerdote ma guerriero, ed eredita
come tale i camuffamenti e le astuzie guerresche che in altra temperie
religiosa erano appartenuti all�Indra vedico,
l�antico campione degli Perfino i vermi e gli insetti alati che muoiono in riva al Gange e gli alberi caduti dalle sue sponde raggiungono la meta suprema (28) . D�altronde, nessun iato insormontabile separa l�uomo dai suoi confratelli subumani, l�uno e gli altri metaplasmi emergenti dal magma vitale che la legge di trasmigrazione mantiene in continua circolazione. Perci� come stupirsi che l�avat�ra non faccia distinzioni nello scegliere il proprio grembo lungo la scala degli esseri come il proprio abito da un armadio (29) ? Con ci� egli non fa che adeguarsi al carosello dell�esistenza che egli stesso viene a perpetuare; ma con una differenza: Gi� molte nascite Io ho attraversato in passato, e anche tu, o Arjuna: Io le conosco tutte, ma tu non le conosci, o sterminatore dei nemici (30) . Per l�uomo che impara a conoscerle, che nella fluidit� universale impara a discriminare il permanente dal transeunte, la danzatrice smette di danzare, per lui l�avat�ra ha esaurito il suo compito: eppure discende ancora, di et� in et�, a preservare il sogno dell�esistenza perch� altri possano ridestarsi.
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Note (1) Cfr. B. Croce, �Perch� non possiamo non dirci �cristiani�� (1942), in Discorsi di varia filosofia, Bari, Laterza, 19592, vol. I, p. 12 sgg. (2) Dharma, dalla radice dhr �esser saldo�, connota uno di quei concetti integrali che non trovano pi� posto (n� quindi espressione) nella nostra cultura dissociata e frammentata. Dharma � il fondamento del cosmo, che assume via via l�aspetto dell�ordine naturale e sociale, del dovere a un tempo giuridico, religioso e morale. Suo contrario � l�adharma. (3) Bhagavad G�t� 4, 7-8: yad� yad� hi dharmasya gl�nir bhavati Bh�rata abhyutth�nam adharmasya tad�tm�nam srj�my aham / paritr�n�ya s�dh�n�m vin���ya ca duskrt�m dharma-samsth�pan�rth�ya sambhav�mi yuge yuge (la trad. di tutti i testi citati � dell�A.). Sulla Bhagavad G�t� v. l�art. di C. Fiore �Il guerriero alla scuola degli d�i�, Abstracta 18 (Settembre 87), p. 22-27. (4) Epistola ai Galati 4, 4-5. (5) Il grandioso corpus dei Pur�na (�Antiquitates�), che comprende tradizionalmente 18 Pur�na maggiori e altrettanti minori (ma in realt� il loro numero � assai superiore), costituisce una sorta di enciclopedia che raccoglie un ricchissimo patrimonio di miti e leggende, dottrine giuridiche e politiche, genealogie, esposizioni di cosmografia, cosmogonia e cronologia, canoni di estetica, dissertazioni filosofiche e compendi di varie discipline scientifiche. Il motivo unificante di tale disparata messe di temi � l�interesse religioso, che costituisce il filo conduttore dei dialoghi cui � affidata l�esposizione e pervade tutta la materia, oltre a dar origine a una tematica propriamente religiosa comprendente trattazioni di precettistica rituale, inni laudativi e celebrazioni di luoghi santi. I Pur�na � la cui data di composizione si stende su un arco di parecchi secoli, rimontando certamente agli inizi della nostra era, ma forse assai prima � sono infatti anzitutto libri sacri, la cui autorit� si vuole pari a quella del Veda: �quand�anche un brahmano conosca i quattro Veda con le scienze ausiliarie e le Upanisad, in verit� non � saggio se non conosce il Pur�na� (�iva Pur�na 7, 1, 1, 39). (6) Visnudharmottara Pur�na 1, 190, 16-17. Cfr. Bh�gavata Pur�na 1, 3, 26: �innumerevoli sono gli avat�ra di Hari, lago dell�essere, come i rivoli di una polla inesauribile sono migliaia�. (7) Lo yuga (�et��) � una suddivisione del computo ciclico del tempo cosmico secondo la tradizione epico-puranica. La durata dell�universo, coestensiva alla durata della vita del dio creatore Brahm� (= 100 anni di Brahm�), � scandita da periodi di latenza (notti di Brahm�) e periodi di manifestazione (giorni di Brahm�). All�alba di ciascun giorno di Brahm� ha luogo la creazione (sarga �effusione�) che inaugura un nuovo kalpa (�eone�, l�intervallo di un giorno di Brahm�, pari a 4.320.000.000 anni umani). Ogni kalpa comprende 1.000 mah�yuga (�grande et��), ognuno dei quali � composto di 4 yuga, che prendono nome dai tiri del gioco dei dadi: krta (il tiro �perfetto�) ha i quattro quarti della durata: 1.728.000 anni; tret� (il tiro di �tre�) ne conserva solo i tre quarti, pari a 1.296.000 anni; dv�para (il tiro di �due�) si riduce a 864.000 anni; infine kali (il tiro peggiore) � l�et� attuale � non dura pi� che 432.000 anni. Il flusso delle quattro et� � caratterizzato da una progressiva decadenza del dharma e dalla conseguente degenerazione dell�umanit�, la cui palingenesi � il compito del venturo messia, Kalki, il cui avvento coincider� con l�instaurazione di un nuovo mah�yuga. Al crepuscolo di ogni kalpa ha luogo la dissoluzione degli esseri (pralaya) e il loro riassorbimento nello stato immanifesto per tutta la durata della notte di Brahm�. (Questi brevi cenni hanno l�unico scopo di permettere la comprensione del testo; per un quadro completo della concezione puranica del tempo v. �nanda Svar�pa Gupta, �The Puranic Theory of the Yugas and Kalpas: a Study�, Pur�na (V�r�nas�) 11, 2 (1969), p. 304-323). (8) Skanda Pur�na, 7, 3, 10, 10-30. (9) Isaia 25, 8; 1 Epistola ai Corinzi 15, 20-22. (10) Cfr. Ch�ndogya Upanisad 8, 4, 1: �Invero, l��tman � un argine che separa questi mondi perch� non confluiscano assieme. Non oltrepassano quest�argine giorno n� notte, vecchiaia, morte o dolore, n� buone n� cattive azioni�. (11) Il R�m�yana � l�altro grande poema epico indiano (accanto al Mah�bh�rata), che narra in 24.000 strofe la leggenda di R�ma, culminante nella lotta con il demone R�vana che ne aveva rapita la moglie S�t�. La redazione definitiva risale probabilmente alla fine del II sec. d. C., bench� la materia narrativa sia di epoca assai pi� antica. (12) Il Mah�bh�rata � il maggior poema epico indiano, un�opera di vastit� colossale (pi� di 90.000 strofe nella recensione settentrionale) il cui nucleo fondamentale � costituito dalla narrazione della grande guerra dei Bh�rata, ovvero dei cinque P�ndava alleati di Krsna contro i propri cugini Kaurava che ne avevano usurpato il regno. L�elaborazione del poema, assai eterogeneo (�ci� che c�� qui c�� anche altrove, ma ci� che che qui non c�� non c�� da nessuna parte� (1, 56, 33)) si estende su un arco di parecchi secoli, collocandosi la redazione definitiva entro il IV sec. d. C. (13) Cfr. Eraclito, B80: �tutto avviene secondo contesa�. (14) Cfr. Brhad�ranyaka Upanisad 1, 4, 7: �In quel tempo questo mondo non era dispiegato; fu dispiegato con nomi�e�forme: ci� che ha il tal nome, ha la tal forma... Ma Egli vi � penetrato fino alla punta delle unghie, come un rasoio riposto nel fodero... perci� non lo vedono: perch� � diviso�. (15) Cfr. Brhad�ranyaka Upanisad 2, 3, 6: �Il suo annuncio �: �non � cos�, �non � cos�; perch� non ve n�� un altro all�infuori di questo, che �non � cos�; ma il suo nome �: �la Realt� della realt���. (16) Cfr. �vet��vatara Upanisad 4, 3-4: �Tu sei femmina, tu sei maschio, tu sei fanciullo e sei anche fanciulla; tu sei il vecchio che barcolla col bastone, tu sei il nato che guarda dappertutto; tu sei il nero corvo, tu sei il verde pappagallo dai rossi occhi, tu sei il grembo della folgore, le stagioni e gli oceani; senza principio, tu pervadi ogni cosa, tu dal quale tutti gli esseri sono nati�. (17) Cfr. Skanda Pur�na 7, 3, 35, 19-20. (18) Cfr. ��varakrsna, S�mkhyak�rik� 59; 66. (19) Il nome � connesso alla radice ebraica y�� = �salvare, liberare�. (20) Mah�bh�rata (Poona) 1, 64 sgg.� (21) Le due forme avatarati e avat�rayati appartengono rispettivamente alla coniugazione ordinaria e causativa della medesima radice (ava)tr. Analogamente pi� sotto avatarana e avat�rana sono nomi verbali derivati rispettivamente dal tema ordinario e dal tema causativo, significando dunque la �discesa� e il �far discendere� = la �rimozione�. (22) Cfr. P. Hacker, �Zur Entwicklung der Avat�ra�lehre�, Wiener Zeitschrift f�r die Kunde S�dasiens, 4 (1960). (23) La trasparenza del simbolismo si transustanzia inverandosi in una pi� arcaica cognazione linguistica: la terra � dharan�, colei che sostiene, come la legge � dharma, il fondamento saldo dell�ordine socio-cosmico. � questo comune riferimento alla stabilit� fondamentale che ha forse promosso e corroborato la metafora, la quale attinge cos� all�universalit� dell�allegoria: specchio dell�invisibile (vacillare del fondamento morale) nel visibile (vacillare delle fondamenta fisiche). (24) Bh�gavata Pur�na 10, 14, 20. (25) Cfr. Rg Veda 4, 47, 18: �Grazie alla sua magia Indra va attorno in molte forme, e per lui sono aggiogati cavalli bai a centinaia�. (26) Cfr. M. �liade, Le mythe de l��ternel retour. Arch�types et r�p�tition, trad. it. di G. Cantoni, Il mito dell�eterno ritorno. Archetipi e ripetizione, Milano, Borla, 1968, p. 136 sg. (27) L�A. � dolorosamente consapevole della schematicit� di questi (e altri) asserti, che richiederebbero ben altra articolazione che lo spazio non concede. Per ritrovare parte delle nuances perdute non si pu� far meglio che rimandare il lettore al bel libro di M. Biardeau, L�Hindouisme. Anthropologie d�une civilisation, tr. it. di F. Poli, L�Induismo. Antropologia di una civilt�, Milano, Mondadori, 1985. (28) Skanda Pur�na 4, 27, 134. A proposito del superamento del privilegio della natura umana nei confronti della salvezza cfr. S. Piano, �Note in margine al Visnu M�h�tmya�, Indologica Taurinensia, 3-4 (1975-76), p. 381 sgg. (29) Cfr. Bhagavad G�t� 2, 22: �Come un uomo smettendo i vestiti logori ne prende di nuovi, cos� l�anima smettendo i corpi logori ne assume altri nuovi�. (30) Bhagavad G�t� 4, 5.
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