Ancora un intervento del direttore scientifico di Airesis sul rapporto
tra conoscenza, metodo scientifico, irrazionale e scientismo. Un
ulteriore contributo che, nuovamente, sembra voler ricordare che
"...
Lo scienziato non è l’uomo che fornisce le vere risposte; è quello che
pone le vere domande..." (Claude Lévi-Strauss - Il crudo e il cotto)
Tratto
dall’esperienza: l’assurdità di una cosa non è ragione contro la sua
esistenza, ne è piuttosto una condizione.
(F. Nietzsche,
Umano, troppo umano)
E’ il solito destino
delle verità nuove, cominciare come eresie e finire come superstizioni.
(Thomas H. Huxley,
Saggi)
Se nelle scienze
logico-formali (e nella loro applicazione ai processi dimostrativi delle
scienze empiriche) la
reductio ad absurdum è spesso un abile gioco
di intelligenza che spesso si scontra con una Natura che pare divertirsi a
rovesciare i nostri schemi mentali, nell’ambito delle scienze umane
(medicina compresa) l’austero processo logico si trasforma in un processo
ideologico che non tende a denunciare un asserto come falso, ma un
assertore come folle. Si ravvisi il famosissimo caso del dott. I. Ph.
Sommelweiss, il quale - dopo aver subito ogni sorta di angherie (dalla
perdita del posto di lavoro fino all’internamento in manicomio) per aver
sostenuto la “realtà della infezione batterica“ - si procurò , a scopo
macabramente dimostrativo, una setticemia mortale ferendosi con un bisturi
affondato nelle carni di un cadavere. E anche dopo la morte si sostenne
che da giovane avesse contratto la sifilide, e che questa lo avesse
portato alla malattia
mentale e al suicidio. Tuttavia, nel 1965 una ricognizione paleopatologica, a un
secolo dalla morte, non trovò alcun segno della malattia. Oppure si
vedano, perché non mi si dica che i nemici di Sommelweiss erano dei
mediocri professori universitari, gli esempi di Robert Koch che quando
poté dimostrare che dei topi infettati con dei bacilli sviluppassero il
carbonchio non fu capito (quando dimostrò di aver scoperto il bacillo
della tubercolosi il grande Rudolph Virchow si alzò dalla sedia e se ne
andò, seguito dai presenti, trattandolo da pazzo) o Louis Pasteur, che venne
attaccato pesantemente da Justus Liebig sul fatto che i microrganismi
avessero un qualunque ruolo nei processi fermentativi e dalla intera
comunità scientifica quando sostenne che i batteri erano la vera causa
delle malattie infettive.
Nulla viene
considerato dalla medicina ufficiale più assurdo delle conoscenze e delle
tecniche delle medicine popolari: dall’ayurvedica alla medicina
tradizionale cinese, dall’omeopatia alla pranoterapia, dall’etnofarmacologia
alla zoo-fito-mineraloterapia ... (2).
L’interesse che oggi le scienze medico-biologiche mostrano verso teoresi e
tecniche di “cura” (3) del fisico e
del mentale diverse, se non addirittura “altre”, rispetto a quelle
sviluppate dalla medicina ufficiale dell’Occidente, è testimoniata non
solo dalla recente attenzione che discipline come l’etnomedicina e
l’antropologia medica manifestano nei riguardi di medicine “aliene”, ma
anche dal sempre maggior impegno profuso da numerosi ricercatori per
comprendere i diversi aspetti teorici e pratici delle medicine
tradizionali. Il termine “tradizionale” implica sempre il concetto
di trasmissione di conoscenze teoriche e tecniche da una generazione
all’altra, in termini di una vera e propria eredità culturale. Ciò
comporta una civiltà fornita del senso della storia e, di conseguenza, con
una precisa idea del concetto di “progresso”. Il concetto di progresso è
una delle nozioni più dense di significato, di implicazioni profonde e di
suggestioni che l'uomo abbia coniato. Esso comporta una precisa concezione
della storia o meglio una chiara definizione del posto che l'uomo ha nel
processo del divenire del mondo. Tale concezione deve essere sia
descrittiva che normativa, comporta tanto una teorizzazione storica che
filosofica. Essa implica che siano elaborate precise nozioni circa il
progresso della conoscenza, i suoi usi, le sue possibilità, il suo valore
e le sue fonti. Ma dato che la conoscenza, pur presentandosi con un
incontestabile valore noetico, può avere esiti pratici (le tecniche) è
automatico porsi le stesse domande anche per le tecniche, aggiungendo
tutta una serie di problematiche conseguenti di genere etico e sociale che
possono portare a questioni circa il progresso o il regresso della
felicità, del benessere sociale, del potere politico e della virtù. Non va
dimenticato che tale concetto implica che sia messo in chiaro qual è la
direzione desiderabile per poter parlare di progresso e non di regresso,
di stasi o di deviazioni. Sono, inoltre, richiesti giudizi di valore
d'ordine deontologico e etico, su ciò che dovrebbe essere e su ciò che si
deve fare in rapporto a se stessi, ai propri simili, alla natura e a Dio.
In questa prospettiva le “medicine tradizionali”, sono parte di quella
specifica eredità culturale caratteristica di civiltà fornite di memoria
storica e di tecniche storiografiche. Con il termine “cura” intendiamo oggi
non solo le terapie (intese come rimedio specifico o sintomatologico ad
uno stato morboso) siano esse farmacologiche o/e chirurgiche, ma anche
tutte quelle tecniche di conservazione e/o ricostituzione della salute che
fanno riferimento all’equilibrio dinamico fra il corpo e la mente.
Fanno parte di questo ambito anche “cure” quali
ad esempio le varie ginnastiche, i massaggi, le diete, le tecniche di
rilassamento, differenti forme di psicoterapia e di fisioterapia ....,
oltre, naturalmente, le diverse “medicine altre” tradizionali o di
interesse etno-antropologico (4).
Ammesso
questo se ne ricava che l'attuale quadro teorico di una determinata
scienza è il risultato dello sviluppo storico di quella scienza e che di
conseguenza farne la storia significa capire attraverso quali passi essa
è pervenuta ad essere quello che attualmente è. Il che detto in altre
parole significa affermare che il fare storia della scienza non è un che
di puramente accessorio al fare scienza; basti pensare al fatto che le
grandi svolte concettuali che hanno permesso il progresso del sapere non
solo non possono essere comprese al di fuori della storia della cultura,
ma sono proprio avvenute ogniqualvolta la scienza si è resa consapevole
delle sue radici e delle proprie vicende storiche.
In questa
prospettiva la storia della medicina si trova di fronte a tradizioni medico-terapeutiche, costituite non da una pura e semplice collezione di
notizie bensì da un complesso universo, omogeneo e coerente, di
conoscenze sull’universo della cura della salute e delle malattie,
estrinsecate solitamente in raccolte di ricette e prescrizioni
operative. Tutto ciò costituisce un corpus (o anche più d’uno per una
stessa cultura) in cui sono raccolte diverse “storie mediche” presentate
nel loro intero sviluppo, la classificazione degli eventi morbosi, i
sintomi, il decorso, la risoluzione del morbo, l’escogitazione di
ipotesi per dar ragione dei vari accadimenti, l’individuazione e
l’attuazione di tecniche e di rimedi ... o in buona sostanza di una
teoria e di una pratica di cura della salute e della malattia. Molto
frequentemente l’empirismo dei praticoni si è confuso con la scienza e i
rituali magici e stregonici si sono mescolati con le tecniche
chirurgiche e/o farmacologiche creando un intrico di sovrapposizioni
che, anche dopo i salutari riordini epistemologici, ha lasciato parecchi
indesiderabili sedimenti. Il continuo proliferare di medicine
“esoteriche” o “mistiche”, con le conseguenti pratiche terapeutiche
“singolari”, ha nella maggior parte dei casi generato disordine, ma ha
anche avuto l’inconsapevole merito di evidenziare guarigioni
inspiegabili o meglio, degli esiti dell’evento morboso palesemente
assurdi. E’ proprio a partire da queste assurdità che nascono le
“discipline di frontiera”: “Lo scienziato non è l’uomo - scrive Claude
Lévi-Strauss nel Il crudo e il cotto - che fornisce le vere
risposte; è quello che pone le vere domande”.
Le discipline
di “confine” o di “frontiera” stanno facendo passi da gigante sulla
strada della spiegazione delle tecniche di cura e di guarigione, nelle
medicine sia popolari che tradizionali. Si vanno aprendo interessanti
spazi di ricerca anche in quei campi che da sempre sono stati rifiutati
o quantomeno guardati con sospetto dalla medicina ufficiale, primo fra
tutte la pranoterapia (5) che è
stata la prima ad essere messa sul banco degli accusati, e per quanto
abbia mutato il nome in bioterapia, è professata da una tal quantità di
occultisti, maghi, veggenti, cartomanti, astrologi, senza un titolo di
studio apprezzabile o laureati in università inesistenti, con una serie
di strumenti di lavoro come il pendolino, le carte, l’oroscopo, le
piramidi, la magia simpatetica, la rabdomanzia medica, la chirurgia
psichica ... che, ora come ora, hanno completamente intossicato
l’ambiente, per quanto alcuni seri studiosi (veramente pochi per la
verità). Questa è stata seguita dalla omeopatia, e comunque, a ruota da
altre discipline, più o meno fortemente indiziate di “paranormale”
(6).
Diversamente
il “miracolo” religioso, accettato dalla scienza ufficiale per mera
convenienza, diviene, fuor dall’ideologia religiosa dominante, “evento
paranormale”, e del terrore del “paranormale” si è subito fatto accanita
persecuzione. (7)
2. A proposito del “paranormale”
Nell’ultimo
quarto di secolo due grandi dibattiti, apparentemente del tutto
scollegati fra loro, hanno avuto un peso non indifferente nella vita
culturale del nostro tempo: il primo riguarda il problema del mutamento
nella scienza ossia i caratteri e la struttura delle “rivoluzioni
scientifiche” ed il secondo concerne l‘ammissibilità o meno, nell’ambito
della razionalità scientifica, delle cosiddette “scienze umane”
(psicologia, sociologia, storiografia, etno-antropologia ...).
In questa
prospettiva le cosiddette discipline “del paranormale” si sono trovate
ad intersecare i percorsi di ambedue i dibattiti. Da un lato, il
costante e continuo ampliamento delle frontiere delle scienze empiriche
(in particolare lo “sconvolgimento” teorico-concettuale conseguente la
nascita della “nuova fisica”) ha consentito di sostenere che un certo
novero di “fenomeni” (8)
(solitamente detti “paranormali”) avrebbero potuto trovare cittadinanza
in opportuni nuovi ambiti teorici (così com’era accaduto a quei fenomeni
che, inspiegabili in termini di meccanica classica, risultavano
perfettamente modellizzabili nella teoria della relatività e nella
meccanica quantistica), dall’altro lato la rivendicazione della
“scientificità” da parte di discipline quali la psicologia e la
sociologia ha permesso di estendere la richiesta anche a “scienze di
frontiera” quale è appunto la cosiddetta “parapsicologia”.
In definitiva,
l’interpretazione “soggettivistica” della fisica contemporanea dove
l’osservatore è parte essenziale ed inseparabile del “fenomeno”,
l’abbandono del meccanicismo deterministico in favore di una “visione
del mondo” olistica ed organicistica e i sempre più frequenti
conferimenti di senso (nei termini delle mistiche orientali), alla
fisica subatomica, non potevano non fornire ai cultori del “paranormale”
forti suggestioni in merito all’apertura di nuove teoresi per le loro
discipline. Inoltre, il tradizionale aggancio di queste discipline
all’universo magico-esoterico e/o a quello spiritualistico-religioso
era, in gran parte, già stato abbandonato verso la fine del XIX secolo,
allorché alcuni scienziati e filosofi positivisti o materialisti -
espunto l’imbroglio e il superstizioso - avevano intrapreso la strada
della “razionalizzazione” di un universo fenomenico che, nelle loro
intenzioni, avrebbe dovuto essere spiegato senza ricorrere né al divino
miracolante né al prodigio dei maghi.
In primo luogo
supponiamo di considerare lealmente il paranormale, sia pur da
avversari, come un‘insieme di fantasticherie e di errori, ma certamente
non come una immane frode perpetrata da astuti profittatori ai danni di
sprovveduti creduloni (9).
Il più tipico
dei procedimenti che l’avversario leale delle discipline del paranormale
mette in atto contro di essa è quello di mostrare l’insignificanza delle
sue proposizioni. L’idea non è certo nuova e ripercorre pedissequamente
la strada introdotta dal positivismo logico contro la metafisica. Una
proposizione è detta priva di senso o quando contiene termini che non
fanno parte di una lingua, ma sono semplici sequenze di suoni o di segni
(es. il
sarchiapone
si ciba di pere) oppure quando i suoi termini
- pur essendo singolarmente dotati di significato in una certa lingua -
violano le norme linguistiche di questa ( es. Socrate è un numero
primo). In altre parole l’insignificanza della proposizione è stabilita
dal fatto che non è possibile ricondurre all’esperienza il suo contenuto
semantico (cfr. nel nostro caso specifico espressioni quali “l’energia
pranica
ha effetti salutari”, “ Tizio
conosce
un evento
prima
che questo accada” ecc...).
La critica
popperiana al “principio di verificazione” (criterio di discriminazione
fra il significante e l’insignificante in quanto consente di riscontrare
nell’esperienza il contenuto di un asserto) spunta definitivamente
quest’arma rendendola non solo innocua, ma la ridicolizza facendo vedere
che il principio di verificazione è esso pure non verificabile (non può
essere oggetto di verifica empirica). Nato come strumento principe dello
scientismo, il principio di verificazione non solo non riesce ad
espungere dall’ambito della “razionalità” le “razionalità altre”, ma
condanna la stessa “razionalità scientifica” a privarsi di tutte quelle
sue importantissime proposizioni che vanno sotto il nome di “leggi”. La
proposta popperiana di adottare il principio di falsificazione
(l’esperienza non può verificare una proposizione universale per quanti
esempi adduca a suo sostegno, mentre basta un solo esempio contrario per
falsificarla) comporta come conseguenza il fatto che la falsificabilità
possa rappresentare il criterio di demarcazione fra le teorie
scientifiche (le sole falsificabili dall’osservazione empirica) e le
“teorie non scientifiche (le razionalità altre) sicché tale demarcazione
:“ ... deve essere tracciata attraverso il cuore stesso della regione
del senso, con teorie dotate di significato da ambo i lati della linea
divisoria, piuttosto che fra la regione del senso e quella del
non-senso” (10). Inoltre,
parlando del “terzo mondo popperiano”, J. Cohen afferma: “La dottrina di
Popper non pone limiti al livello di conoscenza minima che un uomo deve
avere nel campo di indagine di cui si occupano le sue congetture o al
livello minimo di pubblicità che egli deve dare a tali congetture o al
livello minimo di serietà con cui esse devono essere considerate da
altri perché queste possano entrare nel mondo della conoscenza oggettiva
... e non richiede neppure che le congetture di un individuo che devono
entrare in questo mondo debbano avere un particolare livello o tipo di
rapporto con problemi che già esistono nel mondo della conoscenza
oggettiva ... “(11) il che
significa dare asilo e diritto di cittadinanza nel mondo della
conoscenza oggettiva non solo allo straordinario, all’insolito,
all’inconsueto, ma anche al “paranormale”. Che poi l’atteggiamento
corretto non stia nella cautela nell’evitare ”errori“, ma nella
spietatezza nell’eliminarli è un qualcosa di irrinunciabile ed
essenziale, ma successivo.
In secondo
luogo prendiamo la definizione di parapsicologia data da J. B. Rhine,
docente alla Duke University, noto come uno dei padri fondatori della
disciplina: “Parapsychology deals with experiences and behavior that
fail to show regular relationships with time-space-mass and other
criteria of physical lawfulnes.“ (12)
In altre parole, la parapsicologia tratta con eventi (esperienze e
comportamenti) che non possono essere inquadrati nell’attuale stadio
della scienza “normale” (“che falliscono nel mostrare dei regolari
rapporti con spazio-tempo-massa e altri criteri di legittimità fisica”),
ma che potrebbero, qualora si escogitasse un diverso quadro concettuale,
entrare in un nuovo e differente ambito teorico.
Secondo Popper
un problema dà avvio ad una teoria provvisoria e l’analisi critica di
questa genera un’altra serie di problemi ossia il fluire storico della
conoscenza è, da un lato (aspetto diacronico), il continuo passaggio da
un problema ad un altro, mentre dall’altro (aspetto sincronico) è una
“situazione di fatto“ che, per usare le stesse parole di Karl Popper,
“...contiene teorie oggettive, vere o false, utili o inutili”
(13). Questo “terzo mondo di
conoscenza oggettiva” (il quale non si identifica né con lo spirito né
con la materia) è un prodotto dell’animale umano al cui sviluppo tutti
noi contribuiamo, esso contiene congetture, ipotesi, teorie, problemi,
discussioni, argomenti critici, esperimenti, valutazioni di esperimenti,
ma anche teorie erronee, ragionamenti sbagliati, imbrogli intenzionali e
illusioni. Tutto ciò, il vero, il falso, l’illusorio, l’erroneo, il
dimostrato, il confutato, il congetturato ecc.., contribuisce allo
sviluppo della conoscenza. La questione diventa, quindi, quella del
rapporto fra le norme di valutazione razionali che vengono applicate ad
una teoria scientifica ed il proteiforme e metamorfico processo di
cambiamento entro cui si generano problemi, criteri, dati costantemente
mutevoli nel reale sviluppo della scienza. In altre parole la
costruzione di una teoria del progresso scientifico in cui cooperano da
un lato il processo diacronico del mutamento (compresa la contingenza
delle categorie critiche) e dall’altro quello sincronico delle norme
oggettive di valutazione razionale di una teoria scientifica.
Il ”dibattito“
fra Popper e Kuhn, nel quale si inserirono anche Feyerebend e Lakatos, è
così sintetizzato da quest’ultimo: “... mentre per Popper la scienza è
rivoluzione permanente e l’atteggiamento critico è il cuore dell’impresa
scientifica, per Kuhn la rivoluzione è eccezionale e, anzi,
extrascientifica, e la critica, in tempi normali è anatema [ ...] Per
Popper il mutamento scientifico è razionale o per lo meno razionalmente
ricostruibile e ricade nell’ambito della logica della scoperta. Per Kuhn
il mutamento scientifico - da un paradigma ad un altro - è una
conversione mistica che non è, e non può essere governata da regole
razionali e che ricade totalmente nell’ambito della psicologia sociale
della scoperta.” (14)
Per secoli la
scienza ha significato conoscenza dimostrata, o mediante ragione o
mediante l’evidenza sensibile, tanto che la comunità “scientifica” si è
sempre astenuta dal formulare asserti ”non dimostrati“ e si è anche
minimizzata la lacuna fra speculazione e conoscenza stabilita. Seppur le
facoltà probanti della ragione e dei sensi erano sempre state messe in
questione dagli scettici, i filosofi prima e gli scienziati poi hanno
costantemente costruito delle “immagini del mondo” considerate come
“vere”. La rivoluzione galileana era sfociata nella nascita della
scienza moderna e la fisica newtoniana, ampiamente confermata dalle
osservazioni empiriche, si era imposta come descrizione “vera” della
realtà fisica. Ma i risultati di Einstein ribaltarono nuovamente la
situazione tanto che lo stesso Popper s’era trovato, dopo aver
analizzato le rivoluzioni scientifiche, a dover affermare che: “...
nemmeno una teoria controllata con il massimo successo, come è quella di
Newton, può essere considerata più che una ipotesi, una approssimazione
alla verità“ (15).
Le rivoluzioni
scientifiche sono per Kuhn: ”...quegli episodi di sviluppo non
cumulativi, nei quali un vecchio paradigma è sostituito completamente o
in parte da uno nuovo e incompatibile con quello ... [ed allora] ... gli
scienziati non possono non vedere in maniera diversa il mondo in cui
sono impegnate le loro ricerche. Nei limiti in cui i loro rapporti con
quel mondo hanno luogo attraverso ciò che essi vedono e fanno, possiamo
dire che, dopo una rivoluzione gli scienziati reagiscono ad un mondo
differente” (16). In altre parole
fra il paradigma di partenza e quello di arrivo (il prima e il dopo
l’evento rivoluzionario) esiste una vera e propria incompatibilità per
cui il sistema metrico per "comprendere" razionalmente il processo della
crescita e dello sviluppo della conoscenza scientifica" sembra essere
quello della ”incommensurabilità”. Nonostante questo sconsolante punto
d’arrivo anche Kuhn, come Popper e Lakatos, riconosce lo sviluppo
storico della scienza è, in quanto percorso razionale, descrivibile
razionalmente e che il sapere scientifico segua una “ratio” ossia è
costruito su di un preciso impianto epistemologico e segue regole
metodologiche ben determinate.
Ben diverso è
il cosiddetto “anarchismo metodologico” di Feyerabend per cui: “L’idea
di un metodo che contenga principi fermi, immutabili ed assolutamente
vincolanti come guida nell’attività scientifica si imbatte in difficoltà
considerevoli quando vien messa a confronto con i risultati della
ricerca storica. Troviamo infatti che non c’è una singola norma, per
quanto plausibile e per quanto saldamente radicata nell’epistemologia,
che non sia stata violata in qualche circostanza ... [e quindi] ...
l’unico principio che non inibisce il progresso è il seguente: qualsiasi
cosa può andar bene” (17). E
ancora: “In Contro il metodo ho tentato di dimostrare che i
procedimenti della scienza non si conformano ad alcuno schema comune,
che non sono razionali in riferimento a nessun schema del genere. Gli
uomini intelligenti [...] sono opportunisti, ossia utilizzano quei mezzi
mentali e materiali che, all’interno di una determinata situazione, si
rivelano i più idonei al raggiungimento del proprio fine”
(18).
|
In apertura al
suo notissimo
Viaggio nel mondo del paranormale,
il giornalista
televisivo Piero Angela scrive: “Non è infatti sugli errori, le
illusioni o gli imbrogli che si può costruire una nuova dimensione,
qualunque essa sia: e neppure una nuova scienza“. Egli ha ragione dato
che si pone in prospettiva sincronica e interpreta quel “può“ in termini
di finalità, ma si tratta del più tipico dei ragionamenti di chi vive in
un eterno presente e non osa riflettere sulla storia. Se ci si pone in
prospettiva solo sincronica il ragionamento è lapalissiano, ma la cosa
si complessifica nel momento in cui si inserisce la questione in una
prospettiva diacronica, ossia se la si tratta in termini storici.
La
consapevolezza della contingenza delle categorie scientifiche non ha
significato soltanto l'abbandono di schemi un tempo ritenuti intoccabili
e definitivi, successivamente considerati accidentali e passibili di
modifica, ma ha prodotto novità che hanno cambiato radicalmente il volto
della scienza in quanto la presa di coscienza della storicità della
conoscenza scientifica ha comportato affinamenti epistemologici capaci
di agire da fattori di costruzione e di crescita di quest’ultima, tanto
che la storiografia della scienza si candida come componente necessaria
dell’epistemologia e, di conseguenza, della pratica della scienza.
L’universo storico è il luogo privilegiato per riconoscere la
contingenza di struttura delle diverse scienze e per rendersi conto che
le varie scelte effettuate (o abbandono di ciò che non s’è scelto) sono
esse pure fatti storicamente contingenti. In questo senso “ ... il
cammino della scienza è - come giustamente recita un noto aforisma
popperiano - lastricato di prospettive abbandonate che, un tempo, si
consideravano adeguate”, ma nulla vieta che si possa tornare a
recuperarle in quanto, per varie ragioni, si potrebbero di nuovo
rivelare feconde oppure potrebbero indicare le condizioni di
ripercorribilità di strade desuete. Il vero problema diventa allora
quello del reperimento di criteri di demarcazione fra ciò che è
razionale e ciò che non lo è. In altre parole un conto è muoversi sul
piano delle ”razionalità“ (che ovviamente comprende anche tutte le
“razionalità altre da ...”) ed un altro è uscire da tale piano. Allora
gli “errori” e le “illusioni” (è evidente che non si prendono in
considerazione gli imbrogli intenzionali) potrebbero giocare un ruolo
dialettico nell’evoluzione della conoscenza scientifica. La storia della
scienza è costellata di errori, illusioni, imbrogli, verità in anticipo
e anticipi di verità, gli scienziati sono esseri umani che hanno
sbagliato, barato e si sono illusi, hanno sacrificato la verità ad
ideologie e ad interessi personali, ma spesse volta hanno anche pagato
di persona e si sono sacrificati per testimoniare le loro idee contro la
violenza della scienza “normale” e contro la prepotenza dei “signori
della verità“, alcuni hanno perso la vita, altri son finiti in
manicomio, molti più semplicemente sono stati estromessi dalle
“accademie”.
Il cammino
della conoscenza può aver avuto, quindi, momenti progressivi e momenti
regressivi, flussi, riflussi e ristagni, luci ed ombre, ma neppure la
terribile intolleranza che spesso ha avuto origine all’interno della
comunità scientifica è mai riuscita ad arrestarne la crescita. E’ sempre
stato lo scienziato “normale”, di cui Popper dice che ce ne dobbiamo
rincrescere perché male istruito, vittima dell’indottrinamento e
imbevuto di spirito dogmatico, l’inossidabile assertore del
“ragionamento sperimentale”, il fanatico adoratore dei fatti (ignaro che
la scienza ha a che fare con i dati), l’amante dei rigidi schemi
esplicativi (che vorrebbe costringere l’intenzionalità dell’agire umano
entro un rigido determinismo), l’avido collezionista di certezze e il
pavido posseduto dal panico dell’errore. “Il panico dell'errore -
scriveva Alfred North Whitehead nei
Dialoghi
-
è la morte del
progresso)
Ne valga un
solo esempio: Glanvill, filosofo ufficiale della Royal Society,
considerava la scoperta delle streghe e dei loro malefici poteri, il
paradigma del ragionamento sperimentale in quanto, in quello specifico
caso, i fatti sostenevano in modo ineccepibile la teoria (la congiura
demoniaca) (19).
Nello stesso
periodo Isaac Newton dichiarava, in perfetta buon a fede, il suo
Hypotesis non fingo:
“In verità non sono ancora riuscito a dedurre
dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non
invento ipotesi. Qualunque cosa, infatti non deducibile dai fenomeni
va chiamata ipotesi; e nella filosofia sperimentale non trovano posto le
ipotesi sia metafisiche, che fisiche, sia delle qualità occulte, sia
meccaniche” (20). Qualunque
scienziato ben sa che ogni teoria scientifica si rifà necessariamente ad
ipotesi o, per meglio dire, sa che le teorie sono costrutti logici
attraverso i quali si cerca di dedurre da certi asserti generali (le
ipotesi) l’insieme delle proposizioni che descrivono l’universo dei
dati. In una nota lettera al Carcavy, Galileo aveva già chiarito
perfettamente tale procedimento dicendo “io argomento ex suppositione”
che le cose stiano in un certo modo e, a partire da questa ipotesi
“dimostro concludentemente molti accidenti”, se l’esperienza poi mi
mostra che tali accidenti si verificano in natura dico che “le mie
dimostrazioni fabbricate sopra la mia suppositione” non solo sono
matematicamente corrette, ma anche fisicamente vere
(21). Sia come sia, Isaac Newton
viola il proprio credo epistemologico allorché ha bisogno di un punto di
partenza: “Mi sembra probabile che Dio al principio abbia creato la
materia sotto forma di particelle solide, compatte, dure, impermeabili e
mobili [...] da non poter mai consumarsi o infrangersi: nessuna forza
comune essendo in grado di dividere ciò che Dio, al momento della
creazione, ha fatto uno” (22). In
ogni caso, ad uno scienziato onesto non era permesso fare congetture ed
ogni frase che pronunciava doveva essere dimostrata dai fatti, pena il
cadere nella pseudoscienza e nell’eresia, tanto che Laplace portò il
meccanicismo newtoniano alle sue conseguenze estreme: la dimostrazione
matematica che l’universo è una gigantesca macchina regolata da un
rigoroso determinismo interno. Si narra, al riguardo, che Napoleone,
domandatogli perché mai nel gigantesco
Traité de la méchanique
céleste
non si facesse alcun accenno al Creatore, si sentì
rispondere dal grande matematico: “Non ho avuto bisogno di quest‘ipotesi”.
Quasi al
sorgere del nuovo secolo, quando ormai l’elettromagnetismo e la
meccanica statistica, già stavano mostrando l’inadeguatezza del “credo
meccanicistico”, Lord Kelvin, il massimo esponente della scienza
ufficiale ortodossa, sosteneva che senza un modello meccanico
dell’oggetto di studio [la teoria elettromagnetica della luce] non vi
sarebbe stata alcuna possibilità di comprensione, data la palese
assurdità (23) di un ambito
fenomenico resistente alla spiegazione meccanicista.
Certo la paura
dell’assurdo si fece via via più corposa nel corso dei primi decenni del
nostro secolo, tanto che W. Heisemberg ricorda come dopo il lavoro con
N. Bohr (che già in una lezione del 1913 aveva espresso la speranza che
forse un giorno, accentuandosi il distacco dalla fisica classica,
sarebbe stato possibile stabilire una certa coerenza nelle nuove idee)
si ritirava in solitudine a chiedersi continuamente: “ ... è possibile
che la natura sia così assurda come ci apparsa durante questi
esperimenti atomici” (24).
Allo stesso
modo Albert Einstein si disperava dicendo: “Tutti i miei tentativi di
adattare i fondamenti teorici della fisica a queste acquisizioni
fallirono completamente. Era come se non ci fosse mancata la terra sotto
i piedi, e non si vedesse da nessuna parte un punto fermo su cui
costruire” (25), mentre Bohr era
amareggiato del fatto che :“ ... la rinuncia all’intuitività e alla
connessione causale, cui siamo costretti dalla descrizione dei fenomeni
atomici, può ben essere considerata come il fallimento delle speranze
che avevano costituito il nostro punto di partenza”
(26) ; e ancora R. Oppenheimer: “
... alla domanda se la posizione dell’elettrone resti sempre la stessa
dobbiamo rispondere ‘no’; alla domanda se la posizione dell’elettrone
cambi con il passare del tempo, dobbiamo rispondere ‘no’; alla domanda
se esso sia fermo dobbiamo rispondere ‘no’; alla domanda se esso sia in
movimento dobbiamo rispondere ‘no’ ”
(27).
Ma ai seguaci
del “ragionamento sperimentale” (28)
l’esperienza (storica in questo caso) non ha insegnato nulla e, ancora
una volta, continuano ad attaccare le pseudoscienze eretiche non in nome
del fatto che esse non afferiscono, né de facto né de jure, al modello
della razionalità scientifica, ma solo in ragione di una ostinata
resistenza alla logica elementare che fa loro rifiutare tutto ciò che
risulterebbe assurdo all’interno del paradigma della scienza ufficiale.
A costoro ben s’adatterebbe un noto motto di spirito di Prudhomme. “Per
fortuna gli spinaci non mi piacciono, perché se mi piacessero li
mangerei e se li mangiassi starei male, dato che proprio non li posso
soffrire”.
3 -
Impostazione epistemologica della questione
Vediamo allora
di cambiare prospettiva ed ad iniziare a ragionare in termini
epistemologicamente adeguati. Solo così potremo sperare di prendere in
esame, in modo non emozionale e isterico, le cosiddette “discipline del
paranormale”. Quale può mai essere la vera domanda, che secondo Claude
Levy Strauss, qualifica lo scienziato?
Prima di
disquisire a livello di logo apofantico (sulla verità o la falsità di
quel che si afferma) è buona regola, o per meglio dire, è la conditio
sine qua non per poter iniziare qualunque discorso, quella di trovare
l'accordo a livello di logo semantico (sul significato dei termini che
si utilizzano). Se questo vale a livello di una qualsiasi disciplina a
maggior ragione deve valere in un ambito, quello parapsicologico, che la
comunità scientifica nel migliore dei casi reputa "sub judice" vuoi per
commistioni di linguaggi "magico-esoterici" vuoi per proliferazione di
lessici pseudo-scientifici, spesso costruiti solo per riduzionismo
terminologico dal dizionario della fisica, della biologia o della
psicologia.
Nella
prospettiva dell'accordo semantico una qualunque teoria che volesse
prima trattare e, quindi, fungere, per così dire, da "ombrello
epistemologico" al campo della conoscenza dei "fenomeni paranormali"
deve innanzittutto chiarire il significato dei termini che utilizza
all'interno del proprio linguaggio ossia entro le formulazioni del
proprio sapere.
E' noto che,
almeno in prima e minimale istanza, una teoria può essere definita come
"un linguaggio che parla di un universo di oggetti", non solo
nominandoli come tali, ma trattandoli in rapporto al fascio di loro
proprietà e relazioni che ne costituiscono il portato conoscitivo. Non è
necessario, anzi è scorretto, che ci si impegni subito circa la "natura"
o "il tipo di esistenza" di questi oggetti quanto piuttosto che ci si
preoccupi di esibire linguisticamente il sussistere di un sistema di
oggetti forniti di loro proprietà e relazioni specifiche. L'ottica, ad
esempio, è stata costruita senza minimamente preoccuparsi di definire
che cosa è la luce, così come la teoria elettromagnetica o
l'elettrologia non hanno dovuto necessariamente risolvere il problema
del tipo di esistenza del "campo" o dell' "elettrone". Al contrario che
per la fisica dove nessuno si chiede quale tipo di esistenza abbia
l'atomo in se, ma quale modello dell'atomo sia il più adeguato a dar
ragione del campo dei fenomeni osservati, nella disputa circa il
paranormale succede esattamente il contrario: in primo luogo viene
richiesto di dichiarare la "natura" del fenomeno, che cosa esattamente
sia e che tipo di esistenza abbia, in seguito (come se fosse possibile
un seguito ) si chiede di darne una spiegazione. Questo è anche
adombrato a livello di discorso corrente quando ci si chiede se si crede
o meno ai fenomeni paranormali, mentre si attestano o non si attestano i
fenomeni "normali". E' evidente che il "credere" comporta un atto di
fede circa l'esistere di una realtà ontologicamente definita e non una
semplice rilevazione empirica la quale attesta il puro sussistere del
fenomeno. L'atto di fede implica già l'essere andati oltre la teoria,
prima ancora di averla costruita, avendo presupposto il fenomeno come il
portatore di una particolare realtà.
Questo è il
primo e preliminare tranello teso ad una disciplina cui viene richiesto
di suicidarsi ancor prima di essere nata. Sarebbe come se fosse impedito
ad un matematico di continuare il suo discorso qualora non avesse
dichiarato preliminarmente e in modo esplicito la "natura" di entità
quali i numeri naturali, complessi o irrazionali o a un fisico che non
affermasse una sua fede circa ciò veramente che sta dietro ad una
traccia rilevata in una camera a bolle.
Ma anche
qualora si concedesse che la parapsicologia fosse in grado di costruire
una teoria dei "fenomeni paranormali" senza doversi subito impegnare a
dichiarare a quale tipo di realtà essi corrispondono, le si
permetterebbe solo di stilare un elenco visto che risulterebbe
estremamente complicato consentirle di andare oltre all'uso dei termini
soggettivi. Dato che la parapsicologia si occupa espressamente di
oggetti non inquadrati ne inquadrabili entro la "scienza ortodossa" in
ragione del fatto che esibiscono proprietà e relazioni "fuori dal
normale", questo fa si che mentre noi tutti siamo d'accordo ad ammettere
che esistono molti più oggetti di quelli che conosciamo, non siamo
assolutamente disposti a cedere sul fatto che le proprietà e le
relazioni siano quelle e solo quelle che usualmente utilizziamo. Ad
esempio: "fondere", "liquefare", "incenerire", "solidificare", "passare
allo stato gassoso", e così via, sono tutti predicati usuali per
indicare gli stati della materia, mentre "smaterializzare" viene usato
in senso denotativo dalla parapsicologia e solo in senso metaforico a
livello di linguaggio ordinario. Analogamente "conoscere un evento prima
del suo accadere" è un predicato "non-normale", mentre" prevedere sulle
basi di quanto è già accaduto" è "normale". Più in generale sono fuori
dalla norma linguistica espressioni quali: "acquisire informazione
prescindendo dai sensi", "influire sulla statica o dinamica di un
oggetto senza l'applicazione di una forza", "ottenere un effetto prima
della realizzazione della sua causa" Tutti questi predicati (proprietà o
relazioni) fuoriescono dalla normalità della lingua e quindi se
utilizzati danno adito a proposizioni esprimenti "questioni devianti".
Il problema è quello di vedere se queste deviano dalla regolarità
semantica del linguaggio naturale oppure sono soltanto attualmente
devianti, ma in futuro potrebbero divenire regolari. Per esempio la
domanda "Come possono le macchine sapere di avere un dolore?" è
permanentemente deviante (dato che lo è anche per gli esseri umani),
mentre "Possono le macchine pensare?" è deviante all'attuale fase del
linguaggio, ma se lo stato delle conoscenze sugli automi mutasse in modo
che tale asserto acquistasse un uso standard nel linguaggio comune,
allora il predicato "macchina pensante" potrebbe divenire regolare. La
questione non è quella, quindi, di vedere quale significato hanno i
termini "prevedere", "trasferire", "percepire" ecc.. nell'attuale
utilizzo linguistico ed inferirne che l'uso del termine in un contesto
"parapsicologico" da adito ad espressioni devianti, ma semmai vedere se
quel significato è univoco e non potrà mai essere cambiato. O per meglio
dire si tratta di vedere se è costruibile un modello in cui ha senso
usare termini quali "preveggenza", "telepatia", "psicocinesi" quali
analoghi (non omonimi ne equivoci ) di "prevedere", "percepire",
"trasferire" in modo tale che le proposizioni che le contengono possano
essere dette vere o false in relazione al modello.
Una certa
sequenza di segni diventa una proposizione se e solo se riusciamo a
fornirle un adeguato modello di interpretazione, ossia un opportuno
universo di oggetti su cui interpretarla. Il problema primario diventa
quello della costruzione dell' universo di oggetti della teoria, solo in
seguito si porrà quello della spiegazione. In altre parole prima di "dar
ragione" degli eventi, o per meglio dire prima di ricavare i dati dalle
ipotesi, è necessario aver fissato l'universo d'oggetti circa i quali
vengono formulate le espressioni che ne parlano.
Ora nel nostro
caso la costruzione dell'universo d'oggetti della teoria passa
attraverso la trasformazione in dati dei cosiddetti fenomeni
paranormali. E’ evidente, quindi, che prima di vedere se e come sia
possibile garantire l'oggettività e il rigore scientifico a tale
disciplina, è necessario chiarire la nozione stessa di "paranormale".
Quando si
afferma che un oggetto, una situazione, una persona, un comportamento
non sono normali si allude, più o meno inconsapevolmente, al fatto che
non sono come dovrebbero essere (norma prescrittiva) e non al come
debbono essere (norma costitutiva). Nella prima prospettiva il dover
essere comporta l'adeguazione ad una prescrizione che violata porta alla
a-normalità ipso facto, mentre nella seconda la rottura di leggi o norme
costitutive comporta l'insorgenza di una diversità., o se si vuole di
una "normalità diversa" In altre parole un sistema di regole
prescrittive non deve essere violato anche se può esserlo, mentre il
sistema delle regole costitutive non può essere derogato. Nel primo caso
la deroga dalla norma produce l'anormalità in quanto il prescrittivo
coincide con il costitutivo dato che l'unico scopo e ragion d'essere del
sistema è l'osservanza delle prescrizioni, nel secondo caso, in cui il
prescrittivo è il prodotto del costitutivo, il non rispetto della norma
comporta o l'assoluta impossibilità ad operare verso l'obiettivo oppure
la costruzione di un nuovo e diverso insieme di regole atte a
raggiungere un diverso scopo. Le leggi naturali sono tipiche regole
costitutive e quindi non possono essere violate (cosa che i Greci
sapevano benissimo per aver elaborato la dialettica "ybris-ftonos ") in
quanto, all'interno del contesto per cui valgono, sono inderogabili,
pena il paradosso di voler utilizzare le stesse norme che costituiscono
il sistema per costruirne uno contrario.
E' evidente
che all'interno di un altro contesto si avrà un sistema differente
costituito da norme diverse. Usando una terminologia a noi più consueta
diremo che su due differenti modelli della realtà le proposizioni che
descrivono gli eventi hanno diversa interpretazione e quindi non sono
più o meno vere, sono semplicemente diverse. Le leggi della meccanica
razionale non sono contraddette da quelle della meccanica quantistica
così come la geometria di Riemann non contraddice quella euclidea o
quella iperbolica. I fenomeni che hanno provocato e consentito la
nascita della meccanica quantistica non sono "anormali", ma
semplicemente non assimilabili all'universo teorico della meccanica
razionale. Allo stesso modo esistono tutta una serie di fenomeni
astrofisici "non-normali" per l'astronomia newtoniana, che invece stanno
perfettamente a loro agio nella metereologia cosmica.
Si tratta ora
di chiedersi se "il mondo del paranormale" vada escluso dalla normalità
"scientifica" in nome di preclusioni "ideologiche" quali sono quelle
legate alle convenzioni meramente prescrittive oppure debba essere
ricusato in nome di una "anormalità" epistemologica che lo porterebbe di
diritto e di fatto fuori da qualunque sistema di norme costitutive
adatto alla costruzione di una teoria scientifica. In altre parole è la
"scienza ortodossa" che bolla come eretico tutto ciò che non opera
secondo le prescrizioni di uno statuto convenzionato oppure si è nel
caso di una disciplina che non può costituire un proprio universo di
oggetti perché, appunto, non ha oggetti da esibire in quanto non è in
grado di mostrare operativamente i suoi specifici strumenti di
oggettivazione? In definitiva la nostra domanda è la seguente: la
disciplina del paranormale può costruirsi sul paradigma della
razionalità scientifica oppure esso fa parte di un ambito di
“razionalità altra”?
Questa è la
“vera domanda” che gli avversari e i difensori della parapsicologia
dovranno esigere che sia soddisfatta. In caso contrario l’attuale
disputa continuerà ad essere condotta per anatemi e scomuniche,
strumenti propri più alle ideologie inquisitorie che alle metodologie
scientifiche, oppure siamo all’insulsa posizione stigmatizzata da Karl
Kraus: “Nei casi dubbi si decida per il giusto”.
|
NOTE
(1) Ma non è solo nell’antichità che si pensa in tal modo, quando R. Goddart
propose la propulsione a razzo per i viaggi spaziali, si sentì rispondere ch’era
assurdo perché un motore a razzo non avrebbe avuto nulla contro cui esercitare
una spinta
(2) Il terrore di trovarsi a dover cambiare modo di ragionare la dice lunga
sul panico dell’assurdo:“Dietro l’omeopatia - scrive Silvio Garattini - si
nasconde semplicemente il nulla. I farmaci omeopatici non contengono alcunché e,
quindi, non possono esercitare una azione terapeutica, infatti, se ammettessimo
che il nulla fa qualcosa, dovremo cambiare il nostro modo di ragionare” ( cit.
in M. Baldini,
Medicina. La borsa e la vita, Mondadori, Milano, 1993). A
parte il fatto che l’omeopatia debba essere certamente discutibile in quanto si
reputa teoria scientifica, non è esatto dire che il farmaco omeopatico equivalga
al nulla. La sua stessa assunzione comporta una serie di gesti terapeutici e una
serie di convinzioni e credenze nel paziente, oltre naturalmente al fatto che il
composto contiene diversi elementi in dosi “omeopatiche” ossia di un dodicesimo
di centesimo, 10 alla ventiquattresima, o 10 alla sessantesima o 10 alla
duecentomillesima, che per quanto basse, non sono certo niente. Oppure il fatto
che il naso sia sensibile ai mercaptani in ragione di 1/23.000.000 -esimo di
milligrammo per ogni litro d’aria oppure che l’occhio è sensibile a
5/1.000.000.000.000 di erg, dovremmo dire che sono valori così bassi da essere
assimilati al nulla.. Si vedano anche le ragioni di P. Skrabanek e J. Mc Cormick
(in Follie e inganni della medicina, Marsilio, Venezia, 1992) contro
tutte le medicine: le medicine “alternative” non funzionano in toto e invece
le medicine ufficiali funzionano solo per il 10% dei malati. Peccato che il
rimanente 90% è addebitabile all’effetto placebe
e alla
vis medicatrix
naturae,
due fenomeni ben lontani dall’essere oggettivati e spiegati.
(4) Consideriamo l’ambito delle conoscenze
etnomediche ed etnofarmacologiche alla stessa stregua di quello delle medicine
tradizionali, ipotizzando che il complesso di notizie raccolto dal ricercatore
sia equiparabile all’insieme delle informazioni trasmesse “storicamente” dalle
civiltà del passato
(5) Vorrei, però, al di là di qualsivoglia
presa di posizione preconcetta, richiamare l’attenzione sugli studi del prof.
Fritz Albert Popp, direttore dell’Istituto Internazionale di Biofisica di
Kaiserslauten sulle bioenergie.e del prof. F. Grasso, fisico dell’Università di
Catania, con tutta la sua equipe di fisici, ingegneri, biologi, medici ...
sull’emissione ultradebole di fotoni. Cfr. il volume di F. A. Popp
Recent
Advances in Biophotons. Research and its applications,
Word Scientific,
Singapore, New Jersey, London e, anche un’opera più divulgativa in trad. it.
Nuovi Orizzonti in medicina,
IPSOE; F .Grasso ed altri,
Esperienze
sperimentali dei legami esistenti fra l’emissione ultradebole di fotoni e lo
stato funzionale dei sisteme viventi,
riportato di recente su Antropos &
Iatria.
(6) Quali
la nosodoterapia, l’iso-allergenoterapia dinamizzata, l’iso-autoterapia, l’iso-tossicoterapia,
l’antroposofoterapia, l’omotossicologia, la gemmoterapia, la meristemoterapia,
la micro-mineralterapia dinamizzata, la celluloterapia, la tissuloterapia, l’aromaterapia,
la bio-metalloterapia (oligo-metalloterapia e metallo-antroposofoterapia), la
fitoterapia, la floriterapia, la micro-micoterapia dinamizzata, la litoterapia
dechelatrice, l’organoterapia dinamizzata, la serocitoterapia, la bioterapia
gassosa, l’agopuntura (cinese tradizionale e giapponese), la neuralterapia, la
medicina fisica (chinesi terapia, elettroterapia, balneoterapia), l’idroclimatologia,
le manipolazioni cranio vertebrali (l’osteopatia, la cinortesi), la psicoterapia
di rilassamento, l’elettro-agopuntura e l’organometria di Voll, chinesiologia
applicata, l’auricolopuntura e l’auricolomedicina di Mogier, la sofrologia, la
musicoterapia, la nutrizione ortomolecolare
(7) E’ fin
troppo evidente che lo stesso percorso storico della pranoterapia (per non
parlare dello stato attuale di una “disciplina” notevolmente inquinata da
legioni di ciarlatani) genera forti sospetti. Le guarigioni per imposizione
delle mani hanno, però, una storia antichissima. Per quanto non sia mai detto
esplicitamente il fatto che Gesù Cristo dia la facoltà ai suoi discepoli di
imporre le mani per guarire (“Questi sono i segni che accompagneranno quelli che
hanno creduto nel nome mio: scacceranno i demoni, parleranno nuove lingue,
prenderanno in mano i serpenti e se avranno bevuto qualcosa di velenoso non
nuocerà loro,
porranno le mani sopra i malati e saranno guariti” [Vangelo
secondo Marco,
c.16, §17-18]) e che tale facoltà sia passata ai re
taumaturghi e ai santi guaritori (eventi attestati da numerosi cronisti), fa
parte della sfera del “miracoloso”, quindi dell’assurdo. Se il “rispetto” per la
religione (ma di solito solo per quella cattolica) ha sempre fatto sì che si
sorvolasse sull’argomento (come di solito si fa con le eccezioni e con le
anomalie), allorché dei “laici” o dei “membri di altre religioni” si son voluti
arrogare capacità “terapeutiche” immediatamente si sono visti qualificare come
“stregoni, ciarlatani, fattucchiere, ...”
apparenze
(dal greco tà fainómena). In questa prospettiva “fenomeno” sta per apparenza
sensibile, concetto correlativo a quello di realtà di cui il fenomeno
è manifestazione (nel senso della filosofia classica) o a quello di
noumeno o cosa in se dove il
fenomeno
“è ciò che non
appartiene all’oggetto in se stesso, ma si trova sempre nel rapporto di esso col
soggetto ed è inseparabile dalla rappresentazione che esso ne ha” (nel senso
della filosofia moderna, cfr. E. Kant,
Critica della Ragion Pura,
Estetica trascendentale, § 8). In ogni caso il termine “fenomeno” nella sua
accezione più generale, ossia a livello di linguaggio ordinario, sta per
l’apparire o il manifestarsi sia del solito che dell’insolito (ad es. eventi
strani, assurdi, mostruosi ...)
(9) Mi
rifiuto, naturalmente, di prendere in seria considerazione la tesi che l’intero
l’universo del “paranormale” sia costituito intenzionalmente da imbrogli, da
effetti illusionistici o da giochi di prestigio. Se così fosse sarebbe
quantomeno ridicolo implicare nel dibattito scienziati e filosofi dato che se si
accetta la seguente argomentazione: “I trucchi di un prestigiatore possono
essere scoperti solo da un altro prestigiatore, esperto e abile quanto o più del
primo” ne consegue che alcuni “premi Nobel” per la fisica o per le scienze
medico-biologiche, impegnati nella questione, debbano essere sostanzialmente
degli esperti prestigiatori, dato che la loro competenza scientifica non
andrebbe assolutamente essere chiamata in causa, pena il riconoscere
all’avversario un minimo di onestà intellettuale (dato che si presume che costui
sostenga teorie errate per ignoranza ed imperizia). Se al contrario è richiesto
l’intervento di fisici, filosofi, epistemologi, biologi, psicologi ..., in una
questione perfettamente risolvibile da illusionisti, allora si umilia e si
ridicolizza la scienza, riducendola a comprimaria in una recita da baraccone.
Ben diverso (e chiunque lo può capire) se si tratta di teorie erronee,
ragionamenti sbagliati, sofismi o trucchi logici, imbrogli nei procedimenti
teorici.
(10)> K. Popper,
Poscritto alla Logica della scoperta scientifica,
Il
Saggiatore, Milano, 1984, vol I, pag. 192
(11) J.
Cohen,
Il progresso nella scienza,
in E. Agazzi (ed.)
Il concetto di
progresso nella scienza,
Milano, 1976, p. 110
(12)
J. B. Rhine,
On Parapsychology and the Nature of Man,
in S. Hook (ed.),
Dimensions of Mind,
Collier Books & New York University, 1960, p.74.
Si tenga conto che l’articolo di Rhine
appare accanto a contributi firmati da Köler, Wiener, Feigl, Skinner, Nagel,
Bridgman, ecc..., e nel 1960, a testimonianza del fatto che alcuni dei massimi
scienziati e filosofi americani non disdegnavano di comparire accanto ad uno
“parapsicologo”, segno evidente che quando si è veramente “grandi” non si è
affetti dal “superiority complex”.
Objective Knowledge, Clarendon Press, Oxford,1972, p. 115
(14) I.
Lakatos,
La falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca
scientifici,
in AAVV.,
Critica e crescita della conoscenza, trad. it. di G. Giorello, Feltrinelli, Milano, 1980, p. 165
La ricerca non ha fine, trad. it. di D. Antiseri, Armando,
Roma, 1976, p. 85
(16) Th.
Kuhn,
La struttura delle rivoluzioni scientifiche,
trad. it. di A. Carugo,
Einaudi, Torino, 1978, p. 139
(17) P.
K. Feyerabend,
Contro il metodo, trad. it. di Libero Sosio, Feltrinelli,
Milano, 1981, p. 21
(18) P.K.
Feyerabend,
La scienza in una società libera,
Feltrinelli, Milano, 1982
(20) I.
Newton,
Principi matematici della filosofia naturale, UTET, Torino, 1965,
pp. 795-796
(21)
Galileo Galilei,
Lettera a Carcavy, in
Le Opere di Galileo Galilei,
Firenze, 1890-1909, XVIII, 12-13
(22)
Isaac Newton,
Scritti di ottica, libro 3, parte I, q.31, UTET, Torino,
1978, p. 600.
(23) Il
“panico dell’assurdo” ha da sempre turbato i sonni della scienza normale, pur
essendo l’assurdo uno dei più fruttuosi cammini euristici. Ma Lord Kelvin, nel
1896, dichiarò assurdo il volo aereo.
Fisica e filosofia,
il Saggiatore, Milano, 1961, p. 47.
(25) Paul
A. Schlipp,
Albert Einstein scienziato e filosofo, Boringhieri, Torino,
1958, p. 25
I quanti e la vita, Boringhieri, Torino, 1965, p.21
(27) R.
Oppenheimer,
Scienza e pensiero comune,
Boringhieri, Torino, 1965, p. 146
Airesis:
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