PER UNA STORIA DELL'ERESIA MEDIEVALE (6) I LAICI E IL VANGELO: UMILIATI E VALDESI Raniero Orioli - Medievalista - Redaz. Accademia dei Lincei
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A partire dalla seconda metà del XII secolo, l’evangelismo irrompe nella società. Se l’eresia patarinica era stata espressione dei nuovi ceti mercantili emergenti, Umiliati e Valdesi propugnano invece il ritorno alla povertà e alla semplicità evangelica, criticando proprio i nuovi commerci non più volti a soddisfare le vere esigenze vitali ma alla ricchezza. A questo si affianca l’esigenza di una predicazione diretta, che provocherà diverse reazioni da parte della Chiesa, dalla condanna al tentativo di “normalizzazione”.
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Nel 1184 Federico Barbarossa e Lucio III, a Verona, suggellarono la fine di un trentennio di lotte e di alterne fortune. Erano stati, quelli, gli anni della distruzione di Milano, della Lega Lombarda, dell’ostinato tentativo di un imperatore di andare contro la storia, nell’esasperata ricerca di imporre un ideale – quello imperiale, per l’appunto – ricorrendo a intimidazioni, fiscalismi e prevaricazioni destinati a sortire l’effetto opposto a quello desiderato. Dopo questa esperienza Federico di dedicherà anima e corpo alla crociata, a quella crociata, la terza, nel corso della quale la fine per annegamento che egli troverà nel fiume Salef, ha quasi il sapore di una beffa per un uomo che pure era stato grande. L’irruzione del vangelo nella realtà del secolo XII – Ma quelli erano stati anche gli anni in cui la Chiesa di Roma, tutta presa com’era dalla necessità di salvaguardare la propria autonomia messa in discussione dalla politica imperiale, non aveva potuto opporsi con le dovute energie alle conseguenze di un fenomeno che è stato definito il “risveglio” o “l’irruzione” del Vangelo nella realtà storica del XII secolo. Ancora ai primi del secolo, il tema della “vita apostolica” veniva a coincidere con il concetto di vita monastica, Un’equazione, questa, risalente agli stessi riformatori gregoriani; per Ildebrando e Pier Damiani, infatti, il rimedio contro la decadenza del clero era la vita comunitaria del monastero, in cui la povertà dell’abito, del cibo, il lavoro manuale inteso come strumento penitenziale,diventavano la diretta risposta al rilassamento generale. Ma ben presto la caduta di tensione e l’inevitabile istituzionalizzarsi degli ordini nuovi o neoriformati, avevano sussunto questi ultimi in una realtà socioeconomica che progressivamente ne aveva vanificato l’incisività nel tessuto religioso. Ed è ancora una volta dai laici che giunge la spinta al cambiamento e al concetto monastico di vita apostolica si sostituisce progressivamente un ideale che vede negli apostoli di Cristo l’esaltazione si della povertà, ma soprattutto privilegia l’aspetto di predicazione, di apostolato, appunto. Non è più il monaco nel chiuso della sua cella il naturale imitatore degli apostoli, ma può esserlo chiunque, a prescindere dalla sua collocazione nella canonica ripartizione della cristianità in ordines. Ciò che alimenta una siffatta concezione è la lettura della Bibbia, in particolare del Vangelo, che viene interpretato nel suo più immediato significato. Questo evangelismo letterale ha un duplice valore: da una parte appare come scelta culturale che può diventare alternativa al mondo clericale, ad un mondo che si ritiene unico legittimo detentore del potere di interpretare la Sacra Scrittura e, in quanto tale, intermediario tra Dio e gli uomini; dall'altra, la scelta pauperistica, inevitabile conseguenza dell'ideale evangelico, assume il sapore di un'alternativa al sistema economico imperante, Se infatti la Pataria era stata l'espressione di un ceto sociale emergente, quello del mondo cittadino e del commercio,che rivendicava per se un ruolo attivo nell'ambito della società feudale, l'evangelismo della seconda metà del XII secolo ha quasi la valenza di una critica - se non proprio di un rifiuto - di un'economia che ha trasformato il lavoro in uno strumento di egoistico accumulo e non più di soddisfazione delle necessità primarie dell'individuo. Questi due aspetti sono indubbiamente compresenti nelle esperienze, per tanti versi parallele, di due movimenti che operarono in Italia e in Francia: gli Umiliati e i Valdesi. Sulla nascita dei primi si è alquanto favoleggiato, narrando che all'inizio dell'XI secolo l'imperatore Enrico Il, fatti prigionieri, nel corso della lotta contro il re d'Italia Arduino, alcuni nobili milanesi e comaschi, li avesse condotti seco in Germania quali ostaggi. Costoro, dimessa ogni speranza di un rientro in patria, avrebbero abbandonato le ricche vesti optando per un abito semplice e povero e si sarebbero dati ad una vita di penitenza e di lavoro nel settore della lana. Enrico, venutone a conoscenza, li avrebbe convocati e dopo aver esclamato « Eccovi finalmente umiliati », li avrebbe lasciati liberi di tornare alle loro case. Sarebbe stato dunque un imperatore tedesco, che in una cronaca posteriore diventerà addirittura lo stesso Barbarossa, ad originare, sia pure involontariamente, questo movimento, dando ad esso persino il nome. Se non fosse che, per la storia degli Umiliati, le notizie anteriori alla seconda metà del XII secolo non hanno mai trovato adeguato riscontro. La prima testimonianza, la più attendibile, quella che ci consente di cogliere se non la nascita, almeno le caratteristiche del movimento, proviene da una cronaca di Laon, dove, all'anno 1178, si dice che in Lombardia alcuni cittadini, pur restando nell'ambito familiare, 'si sono dati ad una vita di preghiera e di apostolato in difesa della Chiesa cattolica; costoro si astengono dai giuramenti, vestono un abito semplice di stoffa grigia - che prenderà il nome di «panno umiliato» -e «vivono del lavoro delle proprie mani, cioè dell'industria dei panni e la loro vita è quella di umili operai». Se si trascura il rifiuto del giuramento, che ha dato la stura ad ipotesi - non del tutto immotivate - di possibili agganci con Catari, Valdesi e altri movimenti, l'aspetto maggiormente significativo che si aggiunge a quello del vivere come una comunità religiosa, pur rimanendo nell'ambito della famiglia e del proprio humus urbano, sta nel proposito di difendere la Chiesa. Si tratta di uno schieramento di indubbio segno positivo: nessuna contestazione o contrapposizione alla gerarchia ma ricerca di una comune azione di proselitismo e di recupero nei confronti di coloro che si sono allontanati dalla vera fede. Per far ciò gli Umiliati da una parte costituiscono sempre più comunità di uomini e donne, che realizzano la loro scelta pauperistica in un costante lavoro artigianale, destinando il surplus a poveri e derelitti; dall'altra, si arrogano la facoltà di predicare, sia a coloro che fanno parte della comunità sia a coloro che ne sono fuori e coi quali entrano in costante rapporto grazie alla loro attività o al fatto di essere comunque rimasti inseriti nel tessuto sociale urbano. Ma questo secondo aspetto non è gradito alla Chiesa: nel 1178 Alessandro III approva il propositum vitae degli Umiliati, ma proibisce loro ogni forma di predicazione. La scelta di condurre una vita evangelica, finche non si atteggia a forme di marcato anticlericalismo, non trova opposizione da parte della Curia, ma l'impegno antiereticale, di cui gli Umiliati tendono a farsi portatori, di fatto esautora o almeno depaupera il clero di quella cura animarum che è per costituzione suo patrimonio. Il pontefice dunque non si fida del movimento e di fatto gli tarpa le ali: l'inibizione a predicare significa togliere agli Umiliati la prima ragion d'essere della loro scelta e si ha quasi l'impressione che la gerarchia ecclesiastica non solo non abbia compreso il significato della proposta del movimento ma abbia addirittura operato nel senso di una progressiva emarginazione verso l'eresia di gente che, nei propositi e nella vita, era pienamente ortodossa. Sta di fatto che la risposta decisamente inadeguata di Alessandro determinò una reazione da parte di coloro che l'avvertirono come una prevaricazione cui non intendevano soggiacere. Solo così si giustifica la decretale Ad abolendam di Lucio III, dove per l'appunto tutto il movimento, senza distinzioni di sorta, viene tacciato d'eresia e condannato. Ma se l'esistenza di alcune frange dissenzienti poteva aver giustificato la decisa condanna degli Umiliati, ciò non toglie che alcune case continuassero a godere - sia pur sotto diverso nome - dell'appoggio ecclesiastico, tanto che il movimento, alla fine del 1100, risulta presente in diverse città della Lombardia e del Piemonte e nel 1198-99 invia delegati al papa, al fine di ottenere un riconoscimento atto a cancellare dalla propria immagine quel marchio che la Ad abolendam aveva indiscriminatamente impresso. La risposta di Innocenzo III si farà attendere; il papa usa con gli Umiliati la stessa cautela che userà con i Valdesi e con Francesco d' Assisi. Una cautela tuttavia che rivela nei suoi esiti la lungimiranza e la capacità di Lotario da Segni. Due sono i punti per i quali egli è chiamato a dare una risposta: l'anelito ad una comune vita di povertà e la forte pulsione ad un apostolato attivo e alla predicazione. Innocenzo è consapevole delle lacerazioni introdotte nell'ordine dalle disposizioni di Alessandro e di Lucio III e non intende ripeterne gli accenti, senza tuttavia rinnegare l'operato dei predecessori e soprattutto senza depauperare la Chiesa e il clero di quelle prerogative che non si sono mai volute veramente delegare ai laici. Con una serie di bolle egli organizza gli Umiliati in tre ordini di cui il primo - significativa novità - è costituito da soli chierici, del secondo fan parte laici d'ambo i sessi non sposati e viventi in comunità ed il terzo raggruppa quei laici che continuano a vivere in seno alle loro famiglie. Ai primi due ordini impone una regola che è un compromesso tra quella benedettina e quella dei canonici regolari; al terzo - tale in ordine gerarchico, ma di fatto primo come nascita - riconosce soltanto il propositum di vita, non una vera e propria regola.
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Innocenzo, a differenza di Lucio, preferisce recuperare il movimento attraverso l'istituzionalizzazione dei tre ordini, che gli consente sia di vigilare su di essi sia di stabilire i confini entro cui sia lecita l'azione e al di fuori dei quali si cada nell'eresia. Concede agli Umiliati anche la facoltà di predicare, ma perché tale concessione non appaia come rinuncia ad una prerogativa del clero, ne vengono chiaramente definiti i limiti: «Sarà vostra abitudine che ogni domenica vi raduniate pèr ascoltare la parola di Dio in un luogo adatto, dove uno o più fratelli di provata fede e di sperimentata religione. ..con l'autorizzazione del vescovo diocesano propongano una parola di Dio, ammonendoli e invitandoli a costumi onesti, in modo tale che non parlino degli articoli di fede e dei sacramenti della Chiesa». La predicazione è ammessa, dunque, ma solo in ambito comunitario, su temi di carattere etico e non teologico e subordinata al preventivo assenso del vescovo locale.
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Gli Umiliati, irregimentati in tal modo, continueranno a sussistere ancora per tutto il XIII secolo, ma assisteremo alla progressiva clericalizzazione del movimento e, alla fine del '200, i primi due ordini si distaccheranno dal terzo, il quale, verso la metà del '300, cesserà di esistere. Ed è un esito, questo, particolarmente significativo, se si pensa che ad estinguersi per prima sarà proprio quella componente ch'era stata all'origine del movimento stesso. A testimonianza del fermento religioso che anima la seconda metà del XII secolo, troviamo in Francia un'esperienza che è - come si è detto - quasi parallela a quella italiana degli Umiliati.
L'opera di Valdo - Agli inizi degli anni '70 un ricco mercante di Lione, di nome Valdo o Valdesio - e non Pietro Valdo come si è per troppo tempo erroneamente detto - suggestionato dalla Canzone di So Alessio o dal passo evangelico (M t 19, 21) in cui Cristo invita il giovane ricco a vendere tutto ciò che possiede e darlo ai poveri, affida le due figlie al monastero di Fontevraud, lascia alla moglie un terzo dei propri beni e distribuisce quanto resta del suo patrimonio ai poveri, così da potere «seguire nudo il Cristo nudo». Una scelta, questa, che non avrebbe nulla di particolarmente innovativo se non fosse accompagnata dalla ferma decisione di affiancarsi al clero nell'apostolato e nella lotta contro gli eretici attraverso l'adozione di un modello di vita evangelico, di cui la povertà è componente essenziale, stimolo ai laici e atta a confondere i dissidenti. Ma, sembra, all'origine della conversione di Valdo non è tanto l'anelito alla povertà ne ciò che costituisce la vera, grande novità della «rivoluzione antropologica» di Francesco - tifarsi povero e restare uomo - quanto il desiderio di approccio immediato alla Scrittura e la volontà d'interpretarla e propagarla. Per questa sua missione di predicazione Valdo si farà infatti tradurre in volgare i Vangeli e altri brani biblici e dei padri della Chiesa e nel 1178-79 si recherà a Roma, al fine di ottenere l'approvazione del suo proposito di vita ma soprattutto l'autorizzazione a predicare. Qui egli ed i suoi compagni vengono esaminati da un prelato della curia, l'inglese Walter Map, che ne ridicolizza l'assoluta impreparazione teologica ma resta ad un tempo colpito dalla genuina aspirazione ad una vita evangelica e dalla povertà vissuta nelle sue forme più crude. Tanto che Valdo ritorna a Lione con il consenso orale di Alessandro III al la predicazione, sia pure a patto che gli argomenti trattati tocchino soltanto temi morali e non teologici e dietro previa autorizzazione del clero locale. Il viaggio a Roma aveva consentito a Valdo ed ai suoi, ormai conosciuti come «Poveri di Lione», di non trovarsi preclusa in assoluto la possibilità di predicare, loro laici, ad altri laici, come invece era avvenuto nello stesso anno per gli Umiliati. Ma l'ostilità del clero locale, unita all'indubbia difficoltà di non coinvolgere tematiche teologiche nella predicazione, fecero sì che ciò che a Roma era stato tollerato, non lo fosse a Lione. E Valdo, che nel 1180 s'era assoggettato ad una professione di fede, dalla quale risulta un'evidentissima ortossia, nella sinodo diocesana tenutasi alla presenza del legato papale, non intese soggiacere e disubbidì apertamente all'ordine d'espulsione e scomunica che il vescovo lionese emanò nei suoi confronti nel 1182/83. Se ancora con Alessandro III Valdo ed i suoi si distinguono dagli Umiliati perché è loro consentita una sia pur ridotta forma di predicazione, nel 1184 la Ad abolendam li accomunerà quali eretici. Una condanna tuttavia che, come per gli Umiliati, non serve ad inibire ne il fondatore ne i suoi seguaci, la cui presenza è testimoniata nel mezzogiorno francese, in Germania e in Italia, con caratteristiche e peculiarità diversificate, a seconda della situazione politica, sociale, economica e religiosa in cui vengono a trovarsi. Infatti, mentre nella Francia del sud il loro sviluppo privilegia l'aspetto di lotta contro l'ere- sia catara e si organizzano centri di studio tesi a formare culturalmente i predicatori, nell'ltalia settentrionale il movimento assume caratteristiche tali da originare una vera e propria scissione. La presenza degli Umiliati dovette esercitare un indubbio influsso sui Valdesi italiani, i quali si differenziano dai gruppi più vicini all'iniziatore per il diverso concetto di povertà ed il diverso atteggiamento nei confronti del lavoro. Mentre infatti in Italia il lavoro è concepito sia come forma penitenziale sia come mezzo irrinunciabile di sostentamento e di aiuto per i poveri, in Valdo prevale una diffidenza di fondo nei suoi confronti e viene visto soltanto come pericoloso strumento di arricchimento. Una divergenza sostanziale, che nel 1205 determinerà una spaccatura all'interno del movimento e la nascita dell'ala italiana che, in contrapposizione a quella lionese, sarà detta dei “Poveri Lombardi”. L'azione di Valdo, tutta tesa alla costante ricerca di un ritorno in seno alla Chiesa cattolica e a mantenere unito il movimento, conosceva ora l'amaro sapore del fallimento ed il fondatore scomparve, non sappiamo dove, poco tempo dopo la scissione lombarda. Il movimento valdese, senza più Valdo, si disperde in rivoli che sempre più si diversificano tra loro, dando l'abbrivio al sorgere di estremismi e radicalismi che non erano affatto presenti nel primitivo disegno del mercante lionese. E diventa difficile, anche per lo storico, cogliere nella loro reale valenza tutta una serie di «errori. attribuiti genericamente ai Valdesi e che devono essere considerati propri soltanto di alcune ali più radicali ed in parte patrimonio comune di frange disparate e non necessariamente a matrice valdese. Alcuni di questi «errori., come il rifiuto della gerarchia ecclesiastica, l'inutilità della preghiere per i defunti, il disprezzo per le chiese ed i luoghi di culto in genere, sono tematiche che abbiamo già trovato in Pietro di Bruis e negli eretici dell'inizio del secolo XII. Sembrano invece di segno valdese, anche se estremizzate da una consequenzialità esasperata, la rivendicazione ai laici del ruolo sacramentale, patrimonio esclusivo del clero, e la restrizione a tre soli sacramenti: battesimo, confessione, ed eucarestia, altrimenti nota sotto il nome di «Cena valdese». A fronte di queste posizioni permane vivo ciò che è stato definito il dato più importante del Valdismo, cioè «una nuova coscienza dei laici, uomini e donne, di essere parte attiva - con la predicazione e l'attuazione dei consigli evangelici come fossero precetti - nella chiesa e nell'esperienza religiosa di salvezza; mantenendo, peraltro, buoni rapporti con i sacerdoti degni, frequentando i loro sacramenti, aiutandoli nelle dispute pubbliche contro i Catari, ma rifiutando decisamente quelli corrotti» (Paolini). Ed è il persistere di questa componente, nonostante il radicalizzarsi di talune posizioni, che spiega la nascita dei «Poveri Cattolici».
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Gli Umiliati nella cronaca anonima di Laon: In Lombardia vi erano diversi cittadini che pur restando in seno alla loro famiglia e nella loro casa, avevano scelto un particolare modo di vivere religioso basato sull’astensione da menzogne, giuramenti e liti, sul portare un abito semplice e sulla lotta per la fede cattolica. Costoro si rivolsero al papa e chiesero che il loro proposito venisse approvato. Il papa consentì loro di fare ogni cosa in umiltà e onestà, ma fu categorico nel vietare loro di fare riunioni nascoste o di azzardarsi a predicare pubblicamente. Ma essi disprezzarono il mandato apostolico, e resisi disubbidienti, furono per questa ragione scomunicati. Costoro si denominarono Umiliati per il fatto che non vestivano abiti colorato, ma preferivano una veste semplice..... |
GLI UMILIATI NELL'IMMAGINAZIONE ORMAI “ISTITUZIONALIZZATA” DI UMBERTO DI ROMANS - In Italia esiste un ordine religioso dotato di singolari peculiarità: annovera nello stesso convento, tenendoli divisi, sia donne sia uomini laici dotati di buoni sentimenti e disposti a lavorare. E tali case sono ben ordinate. Vi sono infatti alcuni chierici, appartenenti allo stesso ordine religioso, che recitano l'ufficio in una cappella. Mentre i laici: uomini e donne, recitano preghiere particolari secondo le forme proprie dei laici. Tutti obbediscono ad un solo superiore, vivono in comune e non possiedono in proprio; hanno statuti a cui si adeguano di buon animo e con .sentimento religioso e raramente escono dalle case o se ne vanno per il mondo; siffatti religiosi sono detti Umiliati. È noto che vi sono religiosi dotati di notevoli proprietà e rendite, mentre ve ne sono altri che, non possedendo nulla, vivono soltanto di elemosina. Costoro invece, in analogia a quanto avveniva nella Chiesa primitiva, vivono del proprio lavoro. Non possiedono infatti nulla, se non poche cose, ma sia uomini sia donne vivono del loro lavoro, che viene esercitato prevalentemente nell'industria dei panni, fanno elemosine e sovvengono ai bisogni dei religiosi poveri. Inoltre manifestano grande umiltà nei confronti di coloro che incontrano per strada e fanno loro un inchino : accogliendo devotamente i religiosi e le altre persone di pari dignità, genuflettendosi e baciando loro le mani, come recita: quel passo della prima lettera di Pietro: «Ispiratevi umiltà l'un con l'altro». E per questa ragione vengono: ingiustamente chiamati Umiliati, dal momento che conducono una vita di umili lavoratori. |
VALDO E VALDESI NELLA DESCRIZIONE DI STEFANO DI BOURBON - C'era in quella città [Lione] un uomo benestante, di nome Valdesio, che avendo ascoltato spesso la lettura del Vangelo, desiderava comprenderne esattamente il significato. Essendo ben poco istruito si accordò con due uomini di chiesa perché uno provvedesse a tradurre in volgare e l'altro scrivesse: quanto il primo dettava. E così fecero anche per molti libri del Vecchio Testamento e per brani dei santi Padri, che essi ordinarono per argomento e chiamarono sentenze. La continua lettura di questi testi, da lui imparati a memoria, spinse questo cittadino al proposito di osservare la perfezione evangelica alla maniera degli apostoli, per cui venduto ogni suo bene, in disprezzo del mondo profuse il ricavato ai poveri e usurpò l'ufficio stesso degli apostoli.... per le strade e per le piazze, recitando quei brani che aveva imparato a memoria, e raccolse attorno a sé numerosi uomini e donne perché facessero altrettanto, insegnando loro il testo dei Vangeli e mandandoli in giro a predicare nei villaggi vicini, nonostante esercitassero i mestieri più spregevoli. E costoro, uomini e donne. ignoranti e privi di cultura, spostandosi da un paese all'altro e visitando le case e predicando nelle piazze e addirittura nelle chiese incitavano gli altri a far lo stesso. Dal momento che per la loro sconsiderata ignoranza diffondevano nel territorio numerosi errori e davano scandalo, furono chiamati dall'arcivescovo di Lione, ché si chiamava Giovanni, il quale inibì loro di intromettersi nelle Sacre Scritture illustrandole e predicando. Ma essi ricorsero alla risposta data dagli apostoli ed il loro maestro, sostituendosi nella carica a Pietro, con la stessa risposta data ai principi dei sacerdoti disse «Più che agli uomini è a Dio che si deve obbedire», a Dio che ordinò agli apostoli: «Predicate il Vangelo a tutte le creature», come se il Signore avesse detto loro quanto aveva detto agli apostoli i quali, nonostante il mandato avuto, non presunsero di predicare fino a quando non furono illuminati dalla scienza più perfetta e piena e non ricevettero il dono di tutte le lingue. E cosi costoro, Valdesio ed i suoi, si resero dapprima disubbidienti per la loro presunzione e per aver usurpato indegnamente le funzioni degli apostoli. e poi, resisi ostinati, furono colpiti dalla sentenza di scomunica.
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Scena di banca italiana. Lo sviluppo dei commerci
favorì l'accumulo di capitali e, di conseguenza, la nascita degli
istituti di credito. Unaltro segno, questo, dell'allontanamento
dall'evangelico labor di pura sopravvivenza.
Walter Map esamina i Valdesi a Roma nel 1179 - Al concilio romano tenutosi sotto il pontificato di papa Alessandro III, vidi alcuni valdesi, uomini semplici e illetterati, così chiamati dal nome del loro capo spirituale Valdes, che era cittadino di Lione sul Rodano. Costoro presentarono al pontefice un libro scritto in francese che conteneva il testo con commento del libro dei salmi e di diversi altri libri del Vecchio e del Nuovo Testamento. Con insistenza chiedevano che fosse loro concessa l’autorizzazione a predicare, pensando di essere esperti nel farlo, mentre erano si e no dei principianti. Deridevo e mi stupivo che la loro richiesta venisse discussa o vi fossero dubbi in proposito. Venni poi chiamato da un prelato di alto rango, al quale il sommo pontefice aveva dato l’incarico di fare una relazione sulle confessioni. Mi misi in posizione come un bersaglio per le frecce. Convocati numerosi giuresperiti e saggi, vennero condotti a me due Valdesi, che nel loro gruppo sembravano quelli di maggiore autorità, ondo discutere con me sulla fede.... Il prelato mi ordinò di cimentarmi con loro ed io innanzitutto proposi delle domande facilissime, che nessuno può ignorare, ben sapendo che l’asino quando mangia il cardo, poi disprezza la lattuga. “Credete in Dio padre?”; risposero: “Crediamo”. Allora proseguii: “Nella Madre di Cristo?”; ed essi allo stesso modo : “crediamo”. E mentre venivano derisi con grida e schiamazzi dai presenti essi se ne andarono giustamente umiliati, perché, pur non facendosi istruire da nessuno, pretendevano essere stimati come maestri, alla stessa stregua di Fetonte che non imparò neppure il nome dei suoi cavalli. Costoro non hanno una dimora fissa: se ne vanno girovagando a piedi a due a due, scalzi, con addosso indumenti di lana, senza nulla possedere e mettendo tutto in comune come gli apostoli e seguendo nudi il Cristo nudo. Per ora si avvalgono di un atteggiamento conforme alla più grande umiltà, perché non sanno come attaccarci, ma se li facciamo entrare, costoro ci butteranno fuori... |
Dalla professione di fede di Durando di Huesca: Sia noto a tutti i fedeli che io, Durando di Huesca e Giovanni di Narbona ed Ermengaudo e Bernardo di Béziers e tutti i nostri confratelli.... riteniamo che la predicazione sia necessaria e lodevole; tuttavia riteniamo anche che la si debba esercitare per ordine e con il consenso del sommo pontefice e dei prelati. Ma dovunque vivono eretici noti come tali, che ripudiano e oltraggiano Dio e la fede della Santa Chiesa di Roma, crediamo di doverli confondere disputando ed esortandoli in ogni modo e secondo la volontà di Dio, e di doverci opporre loro a viso aperto, fino alla morte, in quanto avversari di Dio e della Chiesa.... E poiché siamo per la gran parte chierici e letterati, abbiamo deciso di dedicarci con zelo allo studio, all’esortazione, all’insegna,mento e alla disputa contro tutte le dottrine erronee. Ma le dispute saranno presiedute da confratelli più dotti, confermati nella fede cattolica e istruiti nella legge del Signore... Pertanto noi, con il consiglio dei nostri fratelli, vi ordiniamo con lettera apostolica, una volta ottenuto dai fratelli un simile giuramento, di riconciliarli alla unità della Chiesa e di dichiararli pubblicamente veri cattolici e fedeli, conservandoli, con precetti e altro, immuni da ogni scandalo e vergogna.... |
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