Soprannaturale e innaturale Maurizio Elettrico - Istituto Italiano di Studi Filosofici
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Carracci Agostino (Bologna 1557 - Parma 1602)
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L'immaginario religioso, artistico, onirico dell'uomo è da sempre popolato da figure mostruose, deformi ed innaturali, che affondano le loro radici simboliche nelle più profonde pieghe della psiche e nelle più arcaiche strutture culturali e mitiche. Carica di poteri e valenze simboliche, profetiche ed iniziatiche, per poco che si indaghi il vario e grottesco repertorio iconografico dell'innaturale, la deformità si protende verso il nostro sguardo attraverso i secoli, alludendo ancora, anche per l'occhio disincantato della modernità, ad una inquietante ricchezza di significati nascosti ed arcani messaggi.
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Le deformazioni e l’idea stessa di deformazione ha avuto in passato un valore sacrale, profetico ed estetico. Nasce essenzialmente dall’importanza comunicata alle immagini e all’immaginazione dalla filosofia antica e dalla sensibilità religiosa. Per gli antichi l’immagine è la forma del pensiero degli dei. Gli dei pensano per immagini e creano con la parola. L’immagine mostruosa o deformata appartiene agli dei del caos, precedenti quindi ad ogni ordine cosmico: ha quindi concentrata in se l’energia di un mondo originario ancora non delimitato dalla legge. Essi fanno parte del mondo del silenzio prima che la parola della divinità produca le sue leggi e le sue forme perfette. La deformazione appartiene quindi alla dimensione del caos primigenio e a quella degli inferi: si riferisce all’universo precedente le leggi e a quello che disubbidì alle leggi. La deformazione nel primo caso indica la presenza nello stesso soggetto di forme viventi non ancora separate dall’atto creativo e ordinatore (uomini con elementi animali o vegetali, animali con caratteri intermedi tra più specie), nel secondo riguarda piuttosto individui che hanno perso la loro divinità, smarrendo di fatto una loro antica perfezione e regredendo a forme confuse di tipo precosmico (demoni ebraico-cristiani). Le alterazione morfologiche vengono adoperate quindi per rappresentare dei atavici o demoni dei in tutte le grandi civiltà del passato; esseri anatomicamente anarchici, che si determinano da se stessi, apparentemente senza alcuna regola e legge esterna. Questi esseri e i loro culti ferini, non privi alle volte di elementi sanguinari, testimoniano il passaggio da una teologia orizzontale aperta al culto della foresta e alle sue presenze selvagge a una teologia verticale dispiegata verso il cielo e le sue costellazioni. L’eroe divino o divinizzato si scontra con esseri fantastici; è questa battaglia il primo atto della creazione. Il combattimento e la vittoria sul mostro rappresenta il primo passo verso l’ordinamento di un nuovo universo fondato sulla legge. É una lotta simbolica contro il caos di un universo non ancora formato, contro l’entropia di un universo già esistente, e ancora contro la malattia e l’anarchia biologica di una natura non interamente dominata dalla ragione divina e dalla sua forza organizzatrice. La creazione come formazione di un mondo ordinato ed armonioso è quindi identificato con la guerra originaria contro gli esseri deformi del caos. Il babilonese Marduk, il greco Eracle, l’indiano Krisna hanno tutti loro dei primordiali mostri da distruggere.
Miniatura indiana del XIX sec. raffigurante la dea Kalì Krishna è di certo una delle più amate divinità indiane ed ha dato luogo alla corrente del Krishnaismo. Viene indicata come l’ottava incarnazione di Visnu: la sua nascita come quella di molte altre divinità è assolutamente innaturale e al tempo stesso soprannaturale. Egli si origina da un capello del dio Visnu. Visnu si strappa dalla testa due capelli, uno bianco l’altro nero e pone il primo nel grembo di Rohini e il secondo in quello di Devaki. Il capello nero genererà Krishna che significa appunto il nero mentre dal capello bianco nascerà Balarama. Nel Bhagavata Purana che canta le gesta di Krisna, Dhenukasura è un asino dalla forza gigantesca, Kaliya è invece un immenso serpente nero dotato di un centinaio di teste e dalle cui narici esalano fumi tossici. Il mostro Pralambasura, con denti aguzzi e occhi fiammeggianti è in grado di gonfiarsi a dismisura, ma anche di assumere aspetto umano. Aghasura ha invece l’aspetto di un gigantesco serpente dalla bocca perennemente spalancata. Le dimensioni di questo asura erano veramente colossali: l’osso del mento appare grande come una montagna, mentre la lingua ha le dimensioni di una strada. Vatsasura può assumere qualsiasi forma e si trasforma in un vitello, mentre Bakasura è un anitra dalle dimensioni di una collina. Qui i mostri mitici si contrassegnano per due aspetti fondamentali l’instabilità della forma e le dimensioni smisurate. Denotano quindi un aspetto contronaturale negando la legge di una specificità biologica, come pure quella di una giusta proporzione. I due aspetti sostanzialmente si equivalgono: questi esseri partecipano all’infinitezza precosmica attraverso l’indefinitezza; le enormi dimensioni sono segno di un non accettazione dei limiti e dei contorni, ugualmente si giustifica il loro aspetto camaleontico. Tiamat dea delle acque salate foggia per combattere Marduk undici esseri orrendi circondati da fiamme e da un particolare bagliore in grado di allontanare i nemici. Ce ne sono in forma di vipera di grande elefante di grande leone, ma anche di cane rabbioso, di centauro e di uomo scorpione. Marduk per dare vita al nuovo ordine ammansirà queste creature e ucciderà Tiamat: dallo smembramento della dea nascerà il mondo così come noi lo vediamo.
Anche la
religione ufficiale di antichi popoli troverà irrinunciabile l’idea di
raffigurare i ricchi pantheon
con deformità di ogni genere. Il
mondo egizio preferirà dei con teste animali che congiungono mirabilmente
cielo e terra, le forze dell’universo stellare con quelle della natura.
Queste figure sono armoniche e ieratiche e simboleggiano una natura
organizzata dalla civiltà umana. Nulla viene risparmiato al collo di
queste divinità; teste di ippopotamo, di leone, di falco, di coccodrillo,
di sciacallo. Sobec è il dio con la testa di coccodrillo, le cui statue
antiche secondo leggende giunte fino al tardo rinascimento venivano
issate su una zattera-tabernacolo, trainata da coccodrilli ammaestrati.
Sahu, Orione, avrà testa di scrofa e sarà la dea delle eclissi. Anubi dio
dei morti avrà testa di oritteropo, strano animale che vive in tane
profonde, nutrendosi di termiti. |
Beato di Liebana: Adorazione della Bestia dalle sette teste e del Dragone (VIII secolol)
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Gli egizi, anche se furono i primi grandi chirurghi del cervello, attribuivano però al cuore l’attività psichica dell’uomo; troppo lontano da loro erano i primi tentativi della scuola pitagorica di un anatomia cerebrocentrica. Eppure la testa è per il loro pantheon determinante: la presenza dei sensi e in particolare dell’occhio fa della testa uno dei riferimenti maggiori della manipolazione simbolica di questo popolo. Il dio animale, quindi, ha un cuore umano in un corpo umano, ma sensi animali per la presenza di una testa animale; è questa la garanzia della sua divinità: la grande vita psichica dell’uomo congiunta con la superiorità sensoriale degli animali. Olfatto vista udito di falchi leoni ippopotami sciacalli si combinano con la complessa vita psichica umana coincidente con quella degli dei. Una sintesi di successo con molte varianti.
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Ancora il dio creatore, il grande Osiride, è un dio presensoriale, poiché precede qualsiasi possibilità di sentire, poiché precede qualsiasi essere o ambiente, che in quanto tale può fornire sensazioni e percezioni della sua esistenza. Per questo è rappresentato acefalo. La sua attività psichica, cioè il suo cuore, è l’organo che gli consente di produrre il mondo e i suoi enti. Le teste possono trovarsi a sostituire però anche altre parti del corpo; ne abbiamo esempi ancora nella religione egizia, ma con grandi rimandi in tutte le religioni del mediterraneo. In questo senso Bes, dio della fecondità, rappresenta forse una crisi del sistema cardiocentrico della cultura egizia; la sua testa è in fatti nel petto, i suoi occhi si aprono all’altezza del torace. Il cervello e il cuore si identificano anatomicamente quasi ad accordare due scuole di pensiero: di chi vuole il cuore e di chi crede il cervello invece il centro dell’essere psichico. Anche le ginocchia e i piedi del dio sono animate. Questa divinità è caratterizzata da un panpsichismo anatomico: in corrispondenza dei due ginocchi ruggiscono due bocche di leoni, i piedi sono sostituiti ora da teste di sciacallo, altre volte da teste di serpente. É una creatura questa, che avrà grande successo anche nel mondo miceneo e greco-romano. Bes diviene nei sigilli cretesi la testa con le gambe, in Libia molto somiglianti a Bes saranno gli akephaloi, Plinio descriverà esseri simili chiamati Blenni, indicati sostanzialmente come specie deformi di terre lontane. In questi ultimi il divino Bes presta la sua forma a oscure specie esotiche. Non mancano rappresentazione di angeli gastrocefali, con una testa che appare all’altezza dello stomaco scolpiti a Chartres e a Bourges in piena età medievale. Sono angeli decaduti: la faccia sulla pancia simboleggia chiaramente che l’intelligenza è in loro asservita ai più bassi istinti. Altre volte la testa si moltiplica all’interno di una stessa testa. Nel civiltà sumera, in quella sciita e nelle antiche culture sarde sono diffuse le rappresentazioni di teste a loro volte composte da teste, quasi ad indicare un essere psichicamente e diremo schizofrenicamente composto da alcune sottounità. Queste immagini sembrano legarsi ad un idea discontinua e disomogenea del mondo. Anticipano formalmente le rappresentazioni dell’uomo composto da molti uomini (XVII secolo), simbolo del sovrano nella visione politica di Hobbes o certi scherzi anatomici come nella litografia di Filippo Balbi, Testa anatomica (1864). Le teste composte da altre teste sembrerebbero fornire l’antefatto di una visione dell’io come realtà composita, come coordinazione ed equilibrio di una molteplicità, intuitivamente nella direzione che verrà indicata dallo psicologo Frederich Myers. Il proliferare delle teste, separate e innestate sullo stesso tronco, la policefalia, avrà pure innumerevoli esempi: con tre teste di montone viene alle volte rappresentato il dio egizio Ammon, come pure alcune divinità sumere. Idra cerberi ed altre fanta-zoologie a più teste riempiono gli inferni dell’antichità.
Testa grottesca di Jusepe de Ribera (1591, Játiva - 1652, Napoli) Anche braccia e gambe si moltiplicano. Nella religione indiana Bramha ha quattro braccia tante quanto sono le sue facce, Agni, dio del fuoco, ha sette braccia e tre gambe. Nel medioevo occidentale l’immagine della fortuna sarà proprio come una divinità orientale fornita di molte braccia, come Boccaccio la descriverà nel De casibus. Ma la deformazione anatomica viene usata anche per evocare e contemporaneamente esorcizzare i sentimenti di paura dell’uomo. Dei e demoni devono quindi incutere timore: per l’autorità della giustizia suprema che rappresentano i primi, per l’ineluttabilità della punizione che infliggono i secondi, giudici e carnefici di uno stesso sistema di leggi. Se quindi nell’antichità gli dei possono avere caratteri disformi, i demoni sono veri azzardi della fantasia. A questi ultimi è consentita qualsiasi oscena combinazione. Qui l’elemento bestiale è lontano dalla riconoscibilità specifica delle divinità egizia; esso è indice di caos e non di un ordine altro o divino. Nel Libro dei Morti sono descritti demoni a forma di serpente con teste di gatto o di papera. Non meno impressionanti o grotteschi appaiono i demoni etruschi. Tuchulcha aveva orecchie d’asino capelli di serpente e un intenso colore livido. I demoni babilonesi sfoggiano corpi di cane, zampe di aquila, artigli di leone, code di scorpione, crani scarnificati, corna di capra ali di uccello: così mostruosi che l’unica cosa in grado di spaventarli era la loro stessa immagine riflessa in uno specchio. Molto simili a questi saranno i demoni locusta descritti da Giovanni nell’Apocalisse. Nel Lemegeton nello Pseudomonarchia e in altri testi si descrivono creature del male come Amon, decaduto dio egizio, l’antico Ammon-Ra, che diviene un improbabile lupo con testa di serpente che vomita fuoco. La parte serpentina probabilmente doveva conferirgli il potere di prevedere il futuro, quello di lupo la capacità di dare a chi lo invocasse l’amore delle donne. Altrettanto inquietante è Balaam rappresentato con tre teste, mentre cavalca un orso con un avvoltoio appollaiato sulla spalla, dove le tre teste potrebbero avere significato temporale di presente, passato e futuro Ancora l’ibrido mostruoso tra animale ed umano nell’età moderna perderà il suo carattere sacrale e fobico per acquisirne uno biologico ed evolutivo.
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Anche nella visione evoluzionistica democritea appaiono questi esseri di passaggio tra animale ed umano come, in pieno Rinascimento, ci testimoniano le pitture di Piero di Cosimo dedicate all’età della pietra, che descrivono ambienti preistorici con animali, fauni e bestie quadrupedi con teste umane. Qui i fauni non sono più esseri semidivini, ma specie animali semiumane. In queste rappresentazioni c’è quindi un processo di umanizzazione dell’animale e di animalizzazione dell’umano, idea presente nelle religioni antiche come anche nella magia. Un processo questo che passerà attraverso una rivisitazione biologica e naturalistica nell’età moderna. Già un Gian Battista della Porta ordinerà una tassonomia di ibridi nati dagli accoppiamenti di uomini con animali. Queste idee sembrerebbero permanere in una teoria embriogenetica formulata nel secolo scorso secondo la quale ogni animale tenderebbe a diventare un uomo, se il suo sviluppo embrionale non si fermasse ad un certo punto. Questa teoria potrebbe aver ispirato del resto il libro di George Wells L’isola del dottor Moreau, dove sono descritti processi di umanizzazione di animale come nel gioco di una Circe alla rovescia. Ancora la deformazione come scambio tra animale e umano la riscontriamo in un età molto vicina a noi nei cartoni di Walt Disney. |
Illustrazioni da un tipico trattato di taumatologia
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Il film Pomi d’ottone e manici di scopa rappresenta bene il mito antico dell’alchimista, ripreso in precedenza da Wells, che trasforma gli animali di un isola in esseri antropomorfi. Anche in questi casi è il volto e la testa l’elemento su cui maggiormente si attua lo scambio tra specie animale e specie umana.
Non solo l’uomo si animalizza e l’animale si umanizza, ma lo stesso mondo assume ora carattere animale ora decisamente umano. Uomo e animale trovano la loro identità nel mondo che acquistano ora i caratteri dell’uno ora dell’altro
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