Il cuore della magia rinascimentale
Ars memoriae
Gabriele La Porta - Scrittore, saggista, direttore palinsesto notturno RAI Radiotelevisione Italiana
Nell'antichità, quando il diffondersi del sapere era affidato unicamente alla trasmissione orale e a rari manoscritti, era quanto mai necessario possedere un'eccezionale capacità di fermare nella mente ciò che si apprendeva. Dalla ricerca di strumenti che favorissero il processo di memorizzazione nacque l'Arte della memoria. Si ritiene che ad inventarla sia stato il poeta greco Simonide (556-448 a.C. circa), forse rifacendosi a una tradizione precedente. Nel mondo classico, il metodo di Simonide, messo suilla carta e codificato soltanto in epoca romana, era uno strumento prezioso per gli oratori. che l'usavano per poter pronunciare in pubblico, interamente e senza difficoltà, i loro lunghi discorsi: Non per nulla, la memoria era considerata una delle cinque parti della retorica. Un'altra forma di Ars Memoriae fu elaborata agli inizi del '300 da Raimondo Lullo. La vera riscoperta delle tecniche di memoria, porta però il nome di Giulio Camillo Delminio (1480-1544), che vagheggiava la costruzione di un teatro della memoria avente come scopo di fissare nelle menti al verità eterna. Dopo di lui, anche Giordano Bruno teorizzò l'Arte della Memoria. Nuovi studi hanno ora individuato nell'Ars Memoriae una delle chiavi della magia rinascimentale.
Antica xilografia con figura mnemonica legata al vangelo di Matteo.
Fermando nella memoria visiva questa immagine con i suoi simboli, era possibile ricordare il contenuto dell'intero Vangelo.
Nel secolo XVI intervengono mutamenti radicali in una delle tecniche retoriche più esercitate, la cosiddetta Arte della Memoria. Questa forma di apprendimento veniva definita Arte per le sue implicite potenzialità creative, inerenti ad infinite possibilità combinatorie di immagini preparate appositamente per essere mnemonizzate. In effetti l'uomo contemporaneo è abituato a "ricordare" dividendo per specie e per generi, per analisi, per similitudini concettuali, grammaticali, sintattiche. È così avvezzo ad operare con questo tipo di strumento mentale, da non porre mai l'attenzione all'antichità ed ai suoi strumenti di memoria, diversi, complessi, apprendibili con difficoltà, ma dai risultati strabilianti. Essi costituivano appunto l'Ars Memoriae. La memorizzazione moderna discende da Pietro Ramo e si è affermata nel mondo occidentale solo dal XVII secolo in poi. L'altra non è databile, presente da sempre nel mondo antico. Basata sulla convinzione della maggiore potenza della memoria visiva rispetto a quella concettuale, consisteva nel potenziare la facoltà immaginativa di coloro i quali iniziavano ad apprenderla. Lo studente doveva cominciare ad imprimersi nella memoria alcune immagini familiari (ad esempio la propria stanza da letto) per passare poi a quelle di luoghi meno noti, esterni, come piazze, oppure facciate di cattedrali (spesso costruite per servire da immagini memorizzabili, come sostiene F. Yates in Arte della Memoria).
Una volta fatta propria questa facoltà, lo studente immaginava scene non reali, ma inventate, purché ricche di particolari avvincenti, facilmente imprimibili. Ad ogni immagine, perfettamente memorizzata, veniva poi associato un concetto (oppure anche una parola) da ricordare. In questo modo, allorché si doveva rammentare un discorso,oppure un tema od altro, si tornava con la mente alla figura memorizzata, riandando visivamente mente ai suoi particolari. Richiamando il ricordo del particolare, riaffiorava anche il concetto (o la parola) che ad esso era stato accostato. Dovendo fissare molti concetti, si ricorreva ad una serie ordinata di immagini, tale da poter essere rivisitata in avanti o indietro con facilità. Si poteva, ad esempio, scegliere l'interno di una chiesa perfettamente nota in ogni suo particolare e quindi, scorrendone con la mente le pareti in modo ordinato, associare a ciascuno di tali particolari (una statua, un altare, un, capitello) uno dei concetti da memorizzare. E evidente che una maggiore quantità di figure a disposizione rendeva più dilatabile la possibilità del retore di ricordare. Lullo, Scaligero, Della Porta, e soprattutto Giordano Bruno, avevano creato infinite possibilità combinatorie di immagini, rendendo parimenti vasta la potenzialità concettuale.
Il De umbris idearum[1] e il Cantus Circaeus, opere scritte da Bruno a Parigi nel 1582, sono gli scritti del fIlosofo che più degli altri attestano questa infinita possibilità di combinazione tra le immagini, in una enciclopedia fantasmagorica di rappresentazioni mentali, dilatabili o restringibili a volontà dello studioso.
L'Ars Memoriae - afferma Paolo Rossi - non si pone più come una semplice forma retorica, né l'ars combinatoria come una tecnica logica ... appaiono strettamente collegate ai temi di una metafisica eseplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala e della tradizione ermetica, agli ideali della magia e dell'astrologia ... Inserite nel discorso, pieno di toni iniziatici, di una magia rinnovata, queste tecniche cambiavano in realtà funzione e significato, perdevano il contatto con il terreno delle scienze mondane, ella dialettica, della retorica, della medicina: apparivano miracolosi strumenti, cui era opportuno affidarsi per il raggiungimento del sapere totale o della pansofia[2].
A sinistra: sistema di memoria basato sull'interno di un'abbazia (da J. Romberch, Congestorium artificiosae memoriae, 1553).
A destra: la Grammatica come immagine di memoria (da J. Romberch, Congestorium artificiosae memoriae, 1553).
La mnemotecnica rinascimentale, dunque, si poneva quale fine non più il dilatarsi della mente, bensì tentava di strutturare se stessa come mezzo di ricreazione del mondo, quale organo affiancatore della magia o addirittura ad essa assimilabile.
Sistema di memoria basato sulla struttura di un'abbazia (da J. Romberch, op. cit.).
La differenza con il cristianesimo di un Marsilio Ficino, oppure di un Pico della Mirandola è sostanziale. Ancora Rossi è esemplificativo:
Il caso di Bruno è, da questo punto di vista, esemplare: mentre si configurava come un rifiuto della logica tradizionale e sostituiva le immagini ai termini, la topica all'analitica, l'Arte Bruniana finiva per muoversi su un terreno ben diverso da quello delle indagini dialettiche, rifiutava ogni identificazione con una tecnica linguistica o retorica, si poneva come uno strumento capace di consentire prodigiose avventure e costruzioni totali. Connettendosi agli ideali ed alle aspirazioni della magia, l'Ars lnveniendi e l'Ars Memorativa apparivano le vie da seguire per penetrare i segreti della natura e decifrare la scrittura dell'universo.
Emerge l'opinione del Lullo e del Della Porta, del Giulio Camillo Delminio e soprattutto del Bruno, di considerare l'Arte della Memoria come applicazione dell'arte magica (a questo proposito è utile ricordare che Wolfang Hiland nella sua Magia Naturalis presenta l'Ars Memorativa come applicazione dell'arte magica ad una specifica forma dell'operare umano). La via Bruniana è perciò una magia senza le limitazioni restrittive di quella della Accademia Platonica di Lorenzo il Magnifico. In realtà la sua forma operativa di Arte della Memoria è l'essenza della scientia scientiarum, della tecnica dei re maghi.
Bibliografia
- F.A. Yates, L'arte della memoria, Einaudi, Torino 1972
- P. Rossi, Le origini della pansofia e il lullismo del secolo XVIII, ed. Università degli studi, Milano
- F.A. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, ed. Laterza, Bari
Note
[1] Nel De umbris idearum Bruno illustra il progetto per quella che oggi definiremmo una "esperienza alternativa" della memoria: una specie di percorso obbligato che, tra immagini e suoni, dovrebbe proporre a chi lo percorre il contatto con parti diverse del proprio Profondo, risvegliando alcuni arche tipi in esso sepolti e quindi, in ultima analisi, uno stato alterato di coscienza.
Questo progetto, che è rimasto sulla carta per quattro secoli, è stato ripreso e realizzato a Roma qualche anno fa, in occasione del 400° anniversario della stesura del testo di Bruno, dalla scuola di incisione del Convento Occupato, che si è proposta di seguire il più possibile fedelmente le istruzioni contenute nel De umbris idearum. Entrare nel labirinto delle immagini - così come è stato ricostruito dal Convento Occupato -costituisce realmente un'esperienza di stacco dalla realtà circostante; seguendo una specie di percorso obbligato, ci si ritrova avvolti dalle immagini archetipali espresse nei quadri e dalla musica di sottofondo che accompagna il viaggio: e se ci si abbandona all'esperienza ci si ritrova realmente a sentire strane risonanze interiori via via che si procede nel labirinto.
Alla fine, del tutto imprevisto, un enorme specchio distortore cilindrico nel quale, già preparati da tutto il percorso precedente, si perde veramente per qualche momento qualsiasi modello di riconoscimento: le immagini illusorie e deformi che lo specchio rimanda indietro, proveniendo da tutti i lati, non consentono al mentale alcuna fuga; e si percepisce il fatto di essere realmente lì e in quel momento. Quindi, l'uscita e il ritorno brutale alla realtà quotidiana che si precipita a rivestire ognuno con i suoi schemi comportamentali, le maschere della personalità, i modelli, le gabbie, i codici di espressione e valutazione.
[2] Pansofia: Formazione completa e integrale verso la quale deve tendere ogni uomo, mirando a realizzare il più alto grado di umanità.
L'inferno come immagine di Memoria (da C. Rosselli, Thesaurus artificiosae memoriae, 1579).
Di Gabriele La Porta in Airesis, nella sezione Il Giardino dei Magi, sono ospitati i seguenti altri lavori:
- Gabriele La Porta, I Rosacroce: i sacri attori
- Gabriele La Porta, Orghia, l'orgia sacra a Dioniso
Articolo pubblicato sulla rivista Abstracta n. 1 - gennaio 1986, pp. 38-41, riprodotto per gentile concessione dell'autore che ne detiene i diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.