Il sapiente dominerà gli astri?
I filosofi dello zodiaco
Ottavio Olivieri - Giuresperito, Saggista
Dalla razionalità del pensiero greco che chiamava barbari quei popoli che adoravano il Sole e la Luna a Claudio Tolomeo, autore di un'opera importantissima sull'astrologia, alla persecuzione degli imperatori cristiani fino all'istituzione della cattedra di astrologia da parte dell'imperatore Teofilo nell'VIII sec., all'atteggiamento ostile del mondo islamico ... Se rigettiamo i preconcetti razionalistici che ne fanno un tema da dimenticare, la storia dell'astrologia si può leggere anche così: come un viaggio affascinante che ci consente di comprendere meglio una parte della storia umana.
Molte leggende riguardano la vita di Talete di Mileto, il primo filosofo nella Storia occidentale. Una di esse racconta come il sapiente, mentre gironzolava con la testa per aria fissando le stelle, scivolò in un pozzo. Per sua fortuna fu salvato da una giovane servetta, che era solita seguirlo durante queste passeggiate ben sapendo come chi è troppo attratto dal cielo sia solito dimenticare ciò che si trova sotto i piedi. Forse a causa di questa disavventura l'acqua ebbe una così grande importanza nella teoria cosmogonica del filosofo, fino a diventare arché (principio) di tutte le cose.
Lo stesso Talete, secondo un'altra leggenda, era troppo occupato dalle attività della mente per avere cura di quelle materiali, sicché si ridusse ben presto in povertà. Spinto probabilmente dalle rimostranze dei familiari, che non riuscivano a comprendere il lato pratico della sua sapienza, riuscì a procurarsi una piccola fortuna in modo senz'altro inconsueto. La tecnica era quella che in campo economico è chiamata aggiotaggio: dopo aver previsto mediante complessi calcoli astronomici uno straordinario raccolto di olive, aveva affittato tutti i frantoi della zona, rivendendo poi il diritto così acquisito al momento opportuno e procurandosi un grosso guadagno nello scorno degli immancabili detrattori.
Con la figura in buona parte mitica di Talete di Mileto inizia una delle possibili storie dell'astrologia occidentale.
Egli visse nel sesto secolo a.C., senz'altro prima che precise tecniche di astromantica fossero introdotte nel mondo greco. Certamente dall'Egitto e molto probabilmente da Babilonia, Talete e i suoi epigoni avevano tratto numerose cognizioni di astronomia. La divisione del giorno in dodici ore, la conoscenza delle orbite del Sole e dei pianeti, il loro numero e la successione delle costellazioni sono nozioni che provenivano dall'Oriente. I filosofi ioni ci non accettarono però il principio di connessione tra movimenti degli astri e destino di singoli individui o interi popoli.
Costruendo cosmogonie puramente scientifiche rigettarono la mentalità ieraticamente condizionata propria dell'astrologia "caldea" ed egizia. Con opera mirabile gli antichi Greci riuscirono a combinare i movimenti della volta celeste con la geometria e col pensiero razionale sull'uomo e sull'universo. Non vi fu per loro spazio per un culto degli astri, Wilamowitz[1] a questo proposito è chiarissimo: l'adorazione del Sole e delle stelle non appartiene al popolo greco,
... gli dèi greci, che amavano e odiavano, aiutavano o danneggiavano i mortali erano terreni, appartenevano alla terra e, come tali, apparivano agli uomini ... fu Solo attraverso l'astrologia che le costellazioni ebbero una qualche influenza sulla sorte degli uomini ed anche allora furono fondamentalmente solo semata (segni).
Aristofane nella commedia La Pace (vv. 406-413) era piuttosto esplicito: elemento distintivo tra Greci e Barbari era il fatto che questi ultimi adoravano il Sole e la Luna come divinità. I segni provenienti dal cielo, non solo i tuoni e i fulmini, ma anche le eclissi potevano avere un significato divinatorio preciso, ma la loro importanza non andava molto oltre.
Ogni interruzione del normale corso degli eventi poteva essere il prologo di fatti notevoli ma anche in questo prevaleva la razionalità. Il condottiero ateniese Nicia, sconfitto in Sicilia anche per il terrore delle conseguenze di un'eclisse lunare, fu considerato dai contemporanei e dallo storico Tucidide uomo stolto e superstizioso. Fu invece apprezzato il comportamento opposto di Pericle il quale, secondo una nota leggenda, era riuscito a rassicurare i propri soldati, spaventati da un'eclisse solare, coprendo il volto di uno di essi con un mantello, dando cosi una spiegazione immediata e comprensibile del fenomeno.
L'astrologia in quanto tale non esercitò decisive influenze sulla vita e sui costumi del popolo greco fino ai tempi di Alessandro Magno.
Nozione comune per i Greci era che la loro astronomia derivasse da Babilonia e che l'astrologia fosse stata importata dal " caldeo " Berosso. Lo scrittore romano Vitruvio[2] narra come
... molti della razza dei Caldei ci hanno rivelato le loro scoperte ... il primo fu Berosso, che si stabilì nell'isola di Cos ed ivi insegnò per molti anni la sua scienza...
Lo stesso Vitruvio afferma che Berosso fu un sacerdote di Bel che visse almeno centosedici anni, età non eccezionale per un popolo che, stando all'autorità di Plinio il Vecchio, aveva tenuto il computo dei movimenti ce lesti per 490.000 anni.
Nelle Storie Babilonesi, opera databile intorno al 280 a.C. e dedicata ad Antioco I di Siria, Berosso rese note ai Greci le leggende cosmogoniche della Mesopotamia, l'astromantica di un popolo che doveva essere prezioso regalo per chi ne fosse stato degno.
Conoscenza iniziatica, dunque, rivelazione che avrebbe sollevato i sapienti dalle miserie dell'esistenza. A questo aspetto se ne può aggiungere un altro: Cos era la patria della: medicina di Ippocrate e la connessione tra astologia e anatomia, la cosiddetta "iatromathematica", era molto antica. Fra il quarto e il terzo secolo si diffuse la nozione che le parti del corpo fossero in qualche modo collegate ai segni dello zodiaco: partendo dalla testa, soggetta al potere della costellazione dell'Ariete, si giungeva ai piedi, dominati dalla costellazione dei Pesci.
Sulla scorta del concetto stoico di "simpatia" tra macrocosmo e microcosmo che riflette nella sua natura e struttura quella del tutto, un pianeta maldisposto può determinare la malattia dell'organo ad esso soggetto. Unico rimedio è quello di ristabilire l'equilibrio alterato, rafforzando il potere del "segno" zodiacale afflitto mediante l'uso di animali, piante e minerali ad esso propizi.
Neugebauer[3] e Nilsson[4] affermano che l'astrologia "scientifica", basata cioè su precisi dati astronomici, da noi conosciuta non è più antica del quarto secolo a.C. Se si considerano i progressi compiuti dall'astronomia greca, quello straordinario sviluppo che inizia nel quarto secolo con Eudosso per raggiungere il suo apice tra il terzo e il secondo secolo a.C., nel periodo che va da Aristarco a Ipparco, tale impostazione può essere condivisa. Le conoscenze di trigonometria di Ipparco lo misero in grado di calcolare la durata del giorno con la declinazione del sole e la latitudine del luogo, l'astrolabio da lui costruito rendeva agevole seguire i movimenti della volta celeste. La struttura principale della teoria astrologica è indubbiamente ellenistica, una costruzione nella quale
...per filosofi ed astronomi greci l'universo era una struttura ben definita di corpi direttamente connessi tra loro. La concezione di un'influenza prevedibile esercitantesi tra questi corpi non è minimamente diversa, in linea di principio, da una qualsiasi teoria meccanicistica moderna. Essa si contrappone nettamente all'idea di un dominio arbitrario degli dèi[5].
In questo contesto fece la sua comparsa un grande libro sistematico, formato sostanzialmente di due opere, conosciuto col nome di due autori appartenenti alla storia dell'Egitto: Nechepso e Petosiris. Il primo era ritenuto un antico faraone ed il secondo un alto sacerdote; siffatte autorità rivelavano in forme profeticamente oscure, la sapienza destinata agli "spiriti regali chiamati ad esserne illuminati" toccando tutti i particolari (compreso l'ordine dei pianeti secondo la durata delle rivoluzioni). Questo trattato fondamentale, scritto in greco dai due presunti autori egizi (tuttora non sappiamo fino a che punto ci si trovi di fronte all'opera di due scrittori o di uno solo) risale ad almeno 150 anni avanti Cristo, poiché dà come non ancora per distrutta Corinto.
Il libro di Nechepso-Petosiris era destinato ad avere eccezionale importanza per gli astrologi, fino a divenire il testo più autorevole in materia sino alla comparsa delle opere di Tolomeo nel secondo secolo dell'era cristiana.
Più o meno al tempo della comparsa del libro di Nechepso-Petosiris, il filosofo accademico Carneade poneva obiezioni di ordine morale e tecnico alla credenza nell'influsso delle stelle e nell'attendibilità dell'astromantica. Gli argomenti da lui proposti restarono a lungo i più pericolosi per denigrare l'astrologia: come si poteva spiegare il destino diverso di due gemelli venuti al mondo quasi nello stesso momento? Come si giustificava il fatto che più persone nate in tempi diversi morissero nella stessa battaglia?
La pretesa scientificità dell'astrologia veniva meno perché i calcoli delle posizioni planetarie erano fatti al momento della nascita e non in quello del concepimento, quasi impossibile da stabilire. I principi stessi dell'astromantica erano fallaci, con la pretesa onnipotenza del destino veniva meno ogni responsabilità e moralità umana, le azioni dell'uomo non erano altro che le conseguenze ultime del moto degli astri.
Queste obiezioni ebbero un considerevole successo, lo stesso filosofo stoico Panezio ne fu convinto fino al punto di abbandonare la predizione e l'esegesi astrologica che era propria della scuola che rappresentava. A detta di Cicerone[6], Panezio fu l'unico degli stoici a respingere tale concezione; per il suo determinismo rigoroso la Stoa era per definizione la vestale dell'astrologia. La diaspora durò in effetti ben poco; già con Posidonio successore di Panezio nella direzione della scuola, l'influsso orientale riprese quota. A questo proposito Franz Boll[7] riscontra come Panezio, amico di Scipione Emiliano e dello storico Polibio, fosse nativo di Rodi mentre Posidonio, originario di Apamea in Siria, era per tale motivo ben più esposto alle influenze orientali. Tralasciando spiegazioni di ordine geografico, fu senz'altro per opera di Posidonio, scrittore enciclopedico di erudizione sconfinata, che i Greci conobbero meglio l'astrologia orientale e superarono gradualmente le resistenze ad essa.
Intorno al secondo secolo a.C., stando a quanto riferito da Ennio e Plauto, l'astrologia giunse a Roma; nel 139 a.C. gli astrologi furono espulsi per editto di Cornelio, "praetor peregrinus", preoccupato dell'influenza che tali personaggi stavano esercitando nelle classi subalterne. Senz'altro l'editto riguardava più i ciarlatani e gli indovini che tormentavano la plebe romana in ogni occasione di ritrovo collettivo che non i "mathematici", astrologi scientifici di origine greca o alessandrina, che praticavano l'arte per conto dei potenti. Questi ultimi erano tenuti in buona considerazione, sebbene un'accettazione acritica dell'astrologia dovesse rimanere in buona parte estranea alla mentalità romana. Gli epicurei come Lucrezio, nel loro materialismo teso a liberare l'uomo da paure superstiziose, erano destinati ad opporsi alle teorie astrologiche.
Come contrapposizione all'atomismo e all'irreligiosità del De rerum natura Manilio, poeta latino della cui vita si conosce ben poco, scrisse tra il 9 e il 15 d.C. il grande poema Astronomica, opera probabilmente incompiuta della quale ci sono pervenuti cinque libri largamente rimaneggiati. "Perspicimus coelum, cur non et munera coeli?" in esametri di struttura impeccabile e di indubbia efficacia l'astrologia viene da Manilio esaltata come rivelazione divina offerta da tempi immemorabili agli spiriti eletti. Vi è nell'uomo e negli astri una natura divina comune, della cui conoscenza la stessa divinità ha fatto dono ai mortali. Il sapiente, che è in grado di interpretare questo legame, è veramente libero "victorque ad sidera mittit sidereos oculos".
Tutti gli imperatori, da Augusto, Tiberio, Nerone a Vespasiano e Marco Aurelio, ebbero i loro astrologi; alcuni di essi divennero i consiglieri più ascoltati. Certo le loro fortune furono alterne; un decreto di Augusto dell'11 d.C. rendeva illegale il fatto di consultare privatamente o segretamente "gli indovini di ogni tipo".
Solo nel primo secolo della nostra era gli "astrologi" in senso lato furono banditi da Roma almeno sei volte. L'astrologia era destinata a partecipare in misura sempre crescente ai giochi di potere; un esempio tra molti è la nota previsione di Trasillo, astrologo amico di Tiberio. Le stelle decretavano che l'imperatore non avrebbe fatto ritorno dalla Campania, ma i suoi nemici non ebbero modo di gioire: negli undici anni che Tiberio rimase a Capri essi ebbero modo di pagare cara la loro ingannevole sicurezza. Allora come sempre i responsi degli astrologi erano volutamente ambigui e pericolosi, ma il misterioso doppio senso non diminuiva anzi accresceva la fede nella loro attendibilità.
In questa situazione rimaneva in ombra l'aspetto scientifico dell'astrologia; ben pochi furono gli autori che si preoccuparono di mettere in giusta evidenza questa caratteristica. Tra essi fu senz'altro il "miles fati" Vezio Valente, vissuto nel secondo secolo d.C., autore dell'Antologia, grosso volume in gran parte conservato.
Purtroppo il suo entusiasmo non fu supportato da adeguate cognizioni tecniche, la materia astrologica venne descritta in maniera non molto attendibile in un greco involuto ed oscuro (Boll, attento a questi aspetti, non manca di rilevare come Vezio Valente fosse un plebeo di modeste capacità intellettuali). Contemporaneo di Vezio Valente fu il grande astronomo Claudio Tolomeo, la cui opera doveva avere ben altra importanza e portata.
Dei modi di predire il futuro attraverso l'astronomia due sono i più importanti ed efficaci: uno, che è il primo nella teoria e nella pratica, è quello mediante il quale abbiamo conoscenza delle inalterabili configurazioni prodotte dai movimenti del sole, della luna e dei pianeti in relazione reciproca e con la terra, il secondo è quello che ci permette di indagare i cambiamenti prodotti nel mondo dai particolari aspetti di queste configurazioni. Il primo ha una sua propria 1ogica ed un proprio metodo, desiderabile per se, prescindendo dai risultati che conseguono dalla sua combinazione con l'altro. Esso è stato esposto sistematicamente e scientificamente, nel miglior modo a me possibile, in questo trattato. Del secondo, che non è altrettanto autosufficiente, ho cercato di dare una descrizione adeguata dal punto di vista filosofico.
Inizia così la Tetrabiblos di Tolomeo destinata a divenire ben presto la bibbia astrologica, l'opera fondamentale a cui faranno riferimento gli astrologi arabi e occidentali dei secoli successivi. I due momenti distinti dell'astronomia, quello teorico (la cognizione matematica dei moti celesti cui è consacrato l'Almagesto) e quello pratico (la previsione utile e possibile degli eventi contenuta nella Tetrabiblos propriamente detta) sono complementari. La scienza dei cieli così congegnata è l'unica che possa condurre l'uomo ad una conoscenza serena dell'inevitabile, preservandolo da paure eccessive e da esaltazioni deliranti. La Tetrabiblos era concepita soprattutto come opera didattica: la forma dell'espressione astrologica, fino ad allora frammentaria o poetica, viene razionalizzata in chiare definizioni; la dottrina dei quattro elementi (aria, acqua, terra, fuoco) e la classificazione delle quattro qualità fondamentali (caldo, freddo, secco, umido) viene espressa in termini che resteranno immutati nelle elaborazioni dei secoli successivi.
Non era facile per nessuno sottrarsi all'autorevolezza di un sistema così abilmente congegnato:
Col grande nome di Tolomeo, anche per gli ambienti intellettuali dell'antichità morente, la lotta intorno all'astrologia era sostanzialmente decisa...[8]
Di fronte a questa situazione venne a trovarsi il cristianesimo nascente, una religione per dogma intollerante di ogni altro culto dalla quale ci si poteva aspettare soltanto una lotta di sterminio nei confronti dell'astrologia. La fede nella salvezza eterna male poteva conciliarsi con la credenza negli astri e nel destino, ma la lotta esteriormente vittoriosa, della Patristica contro l'astrologia non si svolse senza resistenze interne. Due esempi tra i molti possibili: Origene concedeva agli angeli ed ai beati la capacità di leggere le scritture astrali; Tertulliano riteneva l'astrologia ammissibile solo fino all'apparizione dei Vangeli, dopo i quali era lecita solamente "la scienza che osserva le stelle di Cristo". La dottrina della predestinazione affermava che la salvezza o la dannazione dell'uomo dipendono soltanto dal volere di Dio, quindi molti cristiani devoti potevano vedere nel decreto dei corpi celesti una diversa espressione di questa fede, oppure riservare all'onnipotenza divina l'annunzio mediante gli astri della sua decisione irremovibile.
Non diversamente dai loro predecessori pagani, anche gli imperatori cristiani combatterono l'astrologia: nel 409 d.C. Onorio e Teodosio costrinsero gli astrologi a bruciare i loro libri alla presenza dei vescovi ed a ritornare alla vera fede sotto pena di esilio; tra gli eretici banditi da Teodosio e Valentiniano nel 425 non mancavano i mathematici.
Non furono certo gli editti imperiali o i roghi dei manuali a far scomparire l"astromantica dai mondo occidentale, ma di certo l"astrologia ai tempi delle invasioni barbariche ebbe la stessa sorte delle altre arti o scienze Cadute nell'oblio le cognizioni astronomiche che ne erano il supporto necessario, l'astromantica attraversò un lungo periodo di declino. Solo alla fine dell'ottavo secolo un persiano chiamato Stefano il filosofo, poté vantarsi
...per aver reintrodotto l'astrologia a Roma ("rectius Bisanzio").
Di certo fu col rifiorire della ricerca scientifica a Costantinopoli che l'astrologia rinacque assieme all'astronomia; negli ultimi anni dei secolo VIlI l'imperatore Teofilo istituì una cattedra di astrologia quale ricompensa per il filosofo Leone, benemerito per aver salvato Salonicco da un'epidemia mediante appropriati consigli tratti dall'osservazione degli astri.
In quel secolo gli Arabi iniziarono a praticare l'astrologia greca, a loro pervenuta mediante traduzioni dal siriano, dal persiano e persino dall'indiano. Il testo fondamentale, la Tetrabiblos di Tolomeo conobbe un nuovo periodo di splendore. Inoltre i perfezionamenti introdotti dall'uso delle cifre arabe e dello zero rendevano accessibili calcoli di una precisione inconcepibile in precedenza. Cambiarono radicalmente le tecniche astromantiche; le nuove cognizioni rendevano possibile tracciare diagrammi del moto degli astri anche per momenti limitati.
Dal raffronto delle carte celesti così compilate il sapiente era in grado di trarre precise indicazioni non solo sulla soluzione dei singoli problemi, ma anche sui momenti più opportuni per affrontarli.
Lo sviluppo di questo tipo di astromantica non avvenne senza opposizioni. L'assoluto monoteismo insegnato da Maometto non lasciava spazio per ogni sorta di fatalismo sul potere delle stelle; la deterministica visione del volere di Allah implicava l'assoluta dipendenza dell'uomo da Dio. Proprio per questo l'Islam non poteva essere più tollerante del Cristianesimo, non a caso gli argomenti prodotti a sostegno della validità e dell'ammissibilità dell'astrologia furono pressoché identici a quelli dei cristiani dei primi secoli. Molti grandi pensatori islamici come AI-Farabi, Avicenna e Ibn Khaldun si schierarono decisamente contro l'astrologia giudiziaria, ma il dottissimo AI-Kindi e il suo discepolo Abu Ma'shar furono astrologi ed ebbero grande influenza sugli scrittori occidentali del Medioevo.
AI Kindi era nato verso la fine dell'ottavo secolo da una famiglia aristocratica (il padre fu governatore di al-Kurfan sotto Harun al-Rashid) ebbe prestigiose cariche alla corte di quel grande patrono delle arti e delle scienze che fu il califfo Ma'mun. Tra le sue numerose opere il trattato De radiis, sopravvissuto in traduzione latina, doveva avere una duratura considerazione. Partendo dalla nozione stoica di simpatia cosmica Al-Kindi poneva le basi per una sorta di metafisica della magia, quasi precorrendo Keplero parlava reciproche influenze di raggi tra gli oggetti, in particolare dell'influenza di raggi stellari, i più potenti, sull'agire umano (l'affermazione fu condannata come eretica dal vescovo Tempier nel 1277).
Abu Ma'shar era nato nel 787 a Balkh, una città del Khurasan dove vivevano comunità ebree, nestoriane, manichee e buddhiste. Molte di queste influenze si ritrovano nelle sue opere grande fu comunque l'ascendente che su di lui ebbe AI-Kindi. Si debbono all'incontro con quest'ultimo i Flores Astrologiae tradotti da Giovanni di Siviglia, l'Introductrium, tradotto da Abelardo di Bath, il De revolutionibus nativitatum tradotto da Ermanno di Carinzia, testi che ebbero una grande diffusione nell'Occidente europeo. Immediatamente accessibili anche ai profani, furono queste opere, di natura didattica e didascalica, a rendere conosciuta ed apprezzata l'astrologia araba presso i lettori occidentali. Ne fu certo un caso se i Flores Astrologiae furono tra i primi lavori stampati da Gutemberg.
Per tutto il periodo che va dal sesto al dodicesimo secolo non vi fu in Europa una vera e propria astrologia. Andati perduti i maggiori manuali in lingua latina, fu per merito degli Arabi che le scienze naturali degli antichi furono nuovamente conosciute in Occidente. Da quando le traduzioni di medicina, matematica, scienza e filosofia cominciarono a diffondersi nelle scuole europee, anche l'astrologia fu accettata come parte dell'antica visione del mondo, patrimonio comune del mondo islamico e di quello cristiano.
Una materia di studio
Grazie ai contatti tra le civiltà stabilitisi con le crociate e ai centri culturali della Spagna (Toledo) e della Sicilia (Palermo), gli studiosi europei si rivolsero agli Arabi per imparare il quadrivio e la medicina. In questo contesto la scienza medica e l'astronomia non potevano essere disgiunte dallo studio dell'astrologia, che costituiva parte integrante di entrambe. Tullio Gregory ha caratterizzato molto bene questo aspetto:
...nel dodicesimo secolo l'astrologia era una delle scienze fisiche che gli uomini dovevano studiare, proprio come scienza fisica e non come qualcosa basato su dati immaginari, perché essa era realmente una scienza positiva per l'uomo del Medioevo...[9]
Dalla cognizione delle cause naturali dipendeva la corretta comprensione dei fenomeni. Singolare applicazione di questo principio fu il parere ufficiale della facoltà di medicina dell'università di Parigi presentato al re Filippo IV nel 1348 per spiegare l'origine della peste nera:
Il giorno 20 Marzo 1345, all'ora prima pomeridiana, è avvenuta la congiunzione di Saturno, Giove e Marte nella casa dell'Acquario. È noto come la congiunzione di Saturno e Giove sia causa di morte e disastri, mentre la congiunzione di Marte e Giove diffonde l'epidemia nell'aria. Conseguentemente la congiunzione di tutti i pianeti non può che significare un'epidemia di scala cosmica.
Lo stretto legame tra astrologia e medicina faceva parte del programma di insegnamento impartito nelle università. Gli studenti di medicina a Bologna dovevano seguire un corso di astrologia della durata di quattro anni, il docente aveva tra i suoi doveri quello di compilare ogni anno un calendario contenente movimenti, congiunzioni ed aspetti dei pianeti. Tra i nomi che compaiono nella lista dei professori di questa materia il primo che si incontra è quello di Guido Bonatti, nato a Forlì verso il 1200 e morto verso la fine del secolo. Famoso astrologo, scrisse il De astronomia, trattato in dodici volumi nel quale, a detta del Villani, trattò il soggetto dell'astrologia in modo così chiaro da sembrare desideroso di insegnare quest'arte alle fanciulle. Fu l'astrologo preferito da Guido di Montefeltro; si narra che il condottiero si servisse dell'astrologo come segnale di partenza per le sue imprese belliche.
Bonatti saliva sul campanile di San Mercuriale a Forlì a consultare gli astri, l'esercito prendeva le armi e si metteva in marcia solo al suo rintocco di campana. Singolare fu il ruolo da lui svolto nel tentativo di riconciliazione tra guelfi e ghibellini di Forlì nel 1282. L'accordo era basato sulla solenne rifondazione della città, sulla costruzione di nuove mura e sul fatto che un capo guelfo ed un capo ghibellino ponessero contemporaneamente la prima pietra nel momento astrologicamente più propizio. Tutto era pronto, alla presenza delle schiere contrapposte, ma quando Bonatti (inutile dirlo) diede il segnale che il momento cruciale era giunto, il ghibellino mise la sua pietra, mentre il guelfo esitò ed infine rifiutò di cooperare.
Tra le escandescenze disse che Bonatti, notoriamente di parte ghibellina, aveva usato la sua sapienza per scegliere il momento più favorevole non per la città, ma solo per i suoi amici.
Si può dedurre che gli astrologi fossero le autorità più consultate riguardo al tempo più favorevole per un'impresa ; non si può in vece sapere quanti e quali principi e potenti mutarono le loro esistenze a causa dei loro consigli.
Nel Medioevo in tutta l'Europa gli uomini erano disposti a credere in opinioni che, ai nostri tempi, consideriamo superstiziose senza senso.
Contemporaneamente riuscirono a compiere grandi progressi in campo filosofico e matematico.
Certo non facevano le distinzioni cui siamo abituati religione e superstizione, ma le stesse confusioni ritornano continuamente.
È luogo comune che la storia sia scritta dai vincitori, ma nella storia delle idee è difficile e sintomo di supponenza rintracciare dei ruoli definitivi. È corretto perciò affrontare ogni epoca considerando ciò che l'ha preceduta, ma rintracciare passaggi è difficile quanto individuare uno spirito del progresso. In quasi due millenni l'astrologia aveva conosciuto più volte periodi di prosperità e miseria, scomparve quasi completamente per poi ricomparire e riacquistare una crescente importanza. Seguirne i percorsi è uno dei possibili mezzi per comprendere meglio una parte della storia dell'uomo.
Note
[1] U. Von Willamowitz, Moellendorf Der Glaube der Hellen, Berlin 1931.
[2] Vitruvio, libro VI, 2.
[3] O. Neugebauer, Le scienze esatte nell'antichità, trad. it. Milano 1974, pag. 197 e segg.
[4] M.P. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion, Munchen 1961, pag. 268 e segg.
[5] O. Neugebauer, op. cit., pag. 203.
[6] Cicerone, De divinatione, II, 42.
[7] F. Boll, C. Bezold., H.G. Gundel, Storia dell'astrologia, trad. it. Roma-Bari 1979, pag. 36.
[8] Ibidem, pag. 41
[9] T. Gregory, La nouvelle idée de nature et de savoir scientifique au XII siécle, in The cultural context of Medieval Learning, Boston 1975, pag. 214.
Articolo pubblicato sulla rivista Abstracta n. 46 - marzo 1990, pp. 38-45, riprodotto per gentile concessione dell'autore che ne detiene i diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.