Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 11
L'oca
Franco Cardini - Ordinario di Storia Medievale, Università di Firenze
Un caratteristico misto di potere arcano e di caratteri quotidiani distingue la vita dell'oca come animale simbolico fin dall'antichità. Presso gli egizi l'oca è fra i volatili "da cortile" più comuni, ma al tempo stesso lo si definisce "figlio di re" e diviene il simbolo geroglifico del ka del faraone. Nella tradizione indù l'oca è al cavalcatura di Brahma, tra i popoli centroasiatici soccorre lo sciamano nella sua ascesa al cielo, nei mondi celtico e germanico ha un significato di tipo profetico. Nell'ambito della cultura cristiana ritroviamo l'oca alla guida di turbe di pellegrini diretti alla volta di Gerusalemme: una specie di ver sacrum sulle orme di un animale evidentemente dotato di sacralità.
Filemone e Bauci di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino (part., 1465 circa-1530). Secondo il mito, narrato anche da Ovidio, nelle Metamorfosi (VIII, 626-724), Filemone e Bauci ospitarono nella loro capanna due pellegrini scacciati da tutti, sotto le cui spoglie si celavano giove e Mercurio. Fu l'oca dei due anziani coniugi a consentire la rivelazione della vera identità dei divini viandanti.
Che i proverbi non siano affatto la a saggezza dei popoli, è noto; e tanto e meno le frasi fatte, i luoghi comuni e che tanto spesso ai proverbi assomigliano e dai proverbi derivano. che, altrimenti, vi sarebbe veramente da disperare della saggezza dei popoli. Prendiamo la frase "essere stupido come un'oca", in ossequio alla quale si usa sovente paragonare il saggio, forte, coraggioso e nobile palmipede - e chi non ha amato l'oca Martina di Konrad Lorenz? - alle ragazzine sciocche Un paragone che non regge. Il folklore ristabilisce immediatamente la giustizia, del resto, circondando l'oca di un'attenzione quasi timorosa (a parte l'attenzione gastronomica che soprattutto i Tedeschi sono soliti dedicarle in periodo natalizio) Grande guardiano, dotato -in quanto tale?.. di poteri profetici, l'oca sa vedere anche le sventure invisibili che si avvicinano alla casa. si dice che, qualora essa si metta senza ragione a correre attorno all'edificio starnazzando, sia un pericolo mortale quello che essa segnala. E del resto la sua attenzione e il suo coraggio, specie all'appressarsi di predatori - ladri, faine, volpi, magari anche lupi - o in coincidenza con un principio di incendio, sono cose note. In Inghilterra - in omaggio forse alle capacità profetiche dell'oca in rapporto alla morte, e quindi alla sua funzione psicagogica - si usa mangiare un'oca per il giorno del Grande Psicagogo del mondo cristiano, l'arcangelo Michele, il 29 settembre. e si dice che chi ottemperi a questa tradizione non troverà mai difficoltà nel pagare i suoi debiti. Questo rapporto dell'oca con il danaro, cioè con i tesori che tradizionalmente si trovano sottoterra, non fa che confermare il so carattere psicagogico e il suo rapporto con le forze dell'Altro Mondo.
Al volatile si attribuiscono anche caratteri profetico-barometrici riscontrqabili sulle sue ossa pettorali dopo che esso sia stato mangiato (e il trar le sorti dalle ossa degli uccelli avanzo del banchetto è, come sappiamo, pratica nota e diffusa): nel caso dell'oca, ossa brune e bruciacchiate preannunzieranno un inverno temperato, ossa bianche o azzurrine una stagione molto rigida. È evidente la sintassi analogica di questa credenza: l'osso bruciacchiato richiama il calore solare, quello bianco il candore della neve. Ma, ciò credendo, non si fa che sottolineare un ulteriore carattere dell'oca: quello di animale cosmico e uranico, che si può avvicinare al cielo. E in effetti l'oca selvatica è un migratore, il cui arrivo segna a sud l'inizio della stagione temperata e a nord quello della stagione più clemente. Sempre, comunque, un buon auspicio.
D'altronde, fra i tre volatili-fratelli che più spesso ricorrono nel folklore e nelle leggende, magari scambiandosi attributi e connotazioni (l'oca, l'anatra, il cigno), l'oca è senza dubbio la più addomesticabile, la più vicina all'uomo: forse anche la più simpatica. Ma, se lascia facilmente le sue abitudini migratorie e si addomestica diventando animale da cortile, conserva comunque una sua fierezza: è noto che, con lei, non ci si possono permettere soverchie confidenze, e che ha spesso un caratteraccio ombroso, aggressivo e vendicativo (Donald Duck insegni). La tensione creata da questa sua domesticità e questa indole ha forse fatto sì che il folklore guardi ad essa come a uno dei suoi oggetti preferiti: e popola difatti le fiabe, dal Perrault che ha intitolato i suoi racconti più famosi Contes de ma mère l'Oie sino alla Regina Piedoca, alla guardiana d'oche di Grimm che il Bettelheim ha voluto leggere in chiave psicanalitica e via dicendo.
Questo caratteristico misto di potere arcano e di caratteri quotidiani distingue la vita dell'oca come animale simbolico fino dall'antichità. Presso gli Egizi, l'oca è fra i volatili "da cortile" più comuni - e difatti lo stesso cigno, che fra essi ha significato cosmicamente più intenso, è detto comunque "oca del Nilo" - ma al tempo stesso, forse per il candore delle sue piume, forse per la consuetudine di migrare verso nord all' inizio della stagione calda, lo si definisce "figlio di re)" cioè, nella pratica, se ne fa il simbolo geroglifico del ka del faraone, qualcosa che - con approssimazione grossolana - potremmo anche definire la sua "anima". Tale traduzione è rozza: ma l'adottiamo per sottolineare una volta di più come al candido uccello migratore, che oltretutto possiede indifferentemente le tre aree cosmiche del cielo, della terra e dell'acqua (in quanto è volatore, nuotatore e camminatore altrettanto robusto), si attribuiscano caratteristiche di conduttore d'anime, di guida verso l' Aldilà. Questo elemento va sottolineato con la massima energia, anche a costo di derogare dall'andamento storico-cronologico del nostro dire (un andamento al quale, finche possiamo, cerchiamo di restar fedeli) e di tentare qualche approccio ardito alla materia.
Oca selvatica e cigno (intercambiabili; o, se si preferisce, difficilmente distinguibili fra loro e quindi confusi) sono difatti. nella tradizione indù, la cavalcatura di Brahma. Non stupirà pertanto imbatterci ancora nell'oca selvatica o nel cigno quali veicoli sciamanici tra i popoli centroasiatici: essi soccorrono lo sciamano nella sua ascesa al cielo o lo sovvengono nel suo ritorno dagli inferi, insomma prestano in un modo o nell' altro le loro ampie e forti ali al viaggiatore degli spazi cosmici e dei mondi extraterreni. Che in Egitto, quando un nuovo faraone saliva al trono, si usassero lanciare delle oche selvatiche verso i quattro punti cardinali, acquista a questo punto i caratteri di un rito cosmico: poiché l'oca annunzia con il suo arrivo una nuova stagione, il suo volo in relazione al nuovo sovrano veniva ad assumere il carattere d'una magica rifondazione del regno e del cosmo stesso. Anche nei mondi celtico e germanico, l'oca ha un significato di tipo profetico, che si spiega probabilmente associando la fama connessa nel paesi nordici al rapporto fra ricomparsa del volatile e della buona stagione al complesso uranico della sua immagine, come uccello divino e annunziatore degli dèi del cielo.
L'oca come attributo dello stolto (da La nave dei folli di S. Brant, Parigi 1498).
I Romani non erano da meno. La leggenda liviana delle "oche del Campidoglio", che si riferisce a un episodio situabile attorno al 390 a.C., non ha necessariamente basi che lo storico debba per forza ritenere inaccettabili, ma appartiene tuttavia alla schiera di quegli eventi del1'antica storia romana sui quali la critica, confortata dal magistero di G. Dumezil, Sta ora facendo luce, riducendone o contestandone del tutto la storicità e sottolineandone invece il carattere mitico (tali le pagine di Muzio Scevola, di Orazio Coclite e così via).
Inutile rinarrare ancora un fatto a tutti noto. I Galli - siamo al culmine della grande espansione celtica sul continente europeo - hanno occupato Roma, e assediano il Campidoglio. Tentano nottetempo una scalata dell'Arce, ma le oche lì presenti danno l'allarme con il loro strepito svegliando i difensori: i quali da allora in poi si dimostrano loro grati circondandole di attenzioni, a differenza dei cani i quali - poiché avevano poltrito - vengono fatti segno di profondo disprezzo. Plinio il Vecchio narra autorevolmente questa storia, nel paragrafo XXVI del libro X della sua Naturalis historia, aggiungendo che per questo "i censori pongono in appalto fra le cose della più grande importanza il cibo per le oche".
Il grande naturalista romano del I secolo d.C. aggiunge altre storie per mostrare quanto vigili e quanto affettuose nei confronti dell'uomo siano le oche, e pertanto quanto degne di rispetto e di affetto: e trae per questo materiale dalle stesse ricche fonti alle quali hanno attinto Eliano per il de natura animalium e Plutarco per il De sollertia animalium, trattato che dovrebbe essere un livre de chevet per tutti gli ecologisti e gli zoofili seri del giorno d'oggi. Né - a proposito di fedeltà, ma anche, evidentemente, di amore per la saggezza e il sapere - Plinio tace che un'oca fu sempre accanto al filosofo peripatetico Lacide, il quale fu a capo dell' Accademia tra 240 e 215, e non lo abbandonava mai, comportandosi esattamente, diremmo noi, come un cane. Ma Plinio il paragone col cane non poteva farlo, poiché aveva appena detto che al paragone con l'oca il cane ci aveva rimesso nell'episodio del Campidoglio, e che l'oca era rispettata dai Romani per questo quanto il cane era disprezzato.
Diciamo la verità: l'ottimo Plinio non ce la racconta granché giusta; così come non ce la racconta quasi mai giusta Livio, quando ci narra miti e impiega simboli trattandoli come se fossero storie "vere" (o, diciamo meglio, siamo noi che usiamo male di Livio...). Quella fra il cane e l'oca, ad esempio, ha tutta l'aria di essere un'opposizione simbolico-sacrale fra un animale uranico (bianco, alato, solare) e uno ctonio (quadrupede, mangiatore di carne morta, sacro agli dèi inferi): e il racconto pliniano serve quindi più a razionalizzare un differente atteggiamento culturale nei confronti di due animali peraltro entrambi familiari ai Romani e da un certo punto di vista domestici entrambi (ed entrambi guardiani...), che non a spiegarne eziologicamente la causa. Il che, del resto, è un rovesciamento di fattori che gli storici delle religioni conoscono molto bene, e che è per così dire consueto.
Aphrodite Urania, divinità celeste trasportata in aria da un'oca, che incarnava presso i Greci l'amore ideale.
Ma forse il filo sottile che stiamo seguendo ci riserva altre sorprese. L'episodio delle oche del Campidoglio è, nella storia romana, strettamente associato a Furio Camillo e alla sua spada di ferro che - gettata sulla bilancia dei Galli - avrebbe dimostrato di valere più dell'oro. Abbiamo già visto come le oche si colleghino alla funzione profetica - e il loro gettare l'allarme all'appressarsi dei Galli potrebbe appunto riferirsi a tale funzione, un po' volgarizzata nella trasposizione pseudocronistica d'una realtà mito-rituale - e a quella sciamanica: non a caso, l'assalto dei Galli e il loro smacco avvengono di notte. È casuale l'avvicinamento tra le oche e l'eroe guerriero Camillo, che fa sfoggio d'un prodotto dell'arte dei fabbri? Ricordiamo la stretta unione tra fabbro e sciamano, al quale tanto denso riferimento fa Mircea Eliade. E corriamo a un brano della Thidhrekssaga - un prodotto per la verità abbastanza tardo della poesia norrena: si tratta del tempo nel quale re Haakon IV di Norvegia voleva impiantare alla sua corte la cultura cortese: ma ciò non toglie che questo testo rielabori materiale tradizionale antico - nel quale il fabbro Wieland forgia per il suo re una spada straordinariamente forte e tagliente usando una tecnica raffinatissima. Difatti, prima forgia una spada buona, della quale il re si dichiara soddisfatto: ma egli replica che si può fare di meglio. Difatti riduce la spada in limatura molto fine, che dà da mangiare a degli "uccelli selvatici" mischiandola al loro cibo; raccoglie poi gli escrementi dei volatili, li passa nel forno in modo da liberare il ferro di ogni scoria e con il metallo così ottenuto forgia una nuova spada, dalle straordinarie prestazioni. E probabile che quegli "uccelli selvatici" fossero in realtà oche, le feci delle quali contengono, com'è noto, buone quantità di carbonio e d'ammoniaca, cioè di efficaci agenti di cementazione dell'acciaio. E indugiamo pure sul fatto che Wieland teneva delle oche presso di se: per sfruttarne gli escrementi? È probabile: si trattava di un fabbro di perizia straordinaria. Ma in realtà Wieland era un fabbro- mago, come un po' tutti i fabbri sono maghi nelle culture tradizionali, in quanto capaci di trattare con l'elemento arcano e terribile del fuoco e di lavorare il metallo. Gli "uccelli selvatici" gli servivano anche per la divinazione? Non lo sappiamo, ne il testo lo dice; molti testi, in cambio, dicono che comprendere il linguaggio degli uccelli significa aver ricevuto una sapienza iniziatica. Che il legame tra l'oca e l'arte fucinatoria nasconda sciamanicamente un altro legame, più profondo, fra oche e profezia, sapienza iniziatica, poteri magici?
Geb, il dio egizio della terra, regge sul capo uno dei suoi attributi animali, l'oca, detta anche "la grande schiamazzatrice". Nel mito Geb, trasformato in oca, fa nascere il sole covando un uovo.
L'ottimo Plinio, concreto e razionalizzatore da buon Romano, ha fatto delle oche delle brave guardiane è del- le compagne di filosofi. La cultura cristiana, rielaborando il folklore celtogermanico europeo, ne farà qualcosa di diverso. L'oca è uno degli attributi di uno dei più grandi santi dell'Occidente: Martino di Tours, il patrono della gente franca dopo la sua conversione. Cavaliere, poi eremita, più tardi vescovo di Tours, Martino teneva presso di se, nel suo romitorio (quando era ancora lontano dalla cattedra vescovile), un'oca. Per compagnia, o per che altra cosa? Limitiamoci a registrare che, con ciò, egli non faceva niente di differente dal filosofo Lacide o dal fabbro-mago Wieland. Ma le oche sono buone guardiane, anzi guardiane profetiche: nel suo caso, la sua brava compagna lo "tradì", quando gli abitanti di Tours lo cercavano per elevarlo alla cattedra episcopale della loro città ed egli naturalmente si nascondeva loro. Stavolta - una versione cristiana del racconto delle oche del Campidoglio? - l'oca rivelò alla gente di Tours, stridendo, dove si nascondeva il santo.
Dal punto di vista del tessuto del racconto, si dice di solito che probabilmente tutto questo è una leggenda utile a far ricordare che san Martino si festeggia 1'11 novembre: e che quel mese è appunto il medesimo della migrazione delle oche verso sud.
Ma il simbolo si giustifica male come pura commemorazione calendariale: che a nessuno può sfuggire fino a qual punto l'oca svolga, nei confronti dei cristiani di Tours, il suo ufficio di guardiana e di creatura profetica.
Che, ciò facendo, proseguisse in età cristiana una funzione che Celtoromani e Franchi (germani, anche se in parte romanizzati con la conversione al cristianesimo) erano abituati ad attribuirle ai tempi del loro mondo pagano? Sulpicio Severo, il grande biografo di san Martino, sembra segnalarci proprio questo quando ci riferisce d'un rapporto ambiguo tra il santo e quei volatili: egli una volta, avendo visto sulla riva d'un fiume alcuni uccelli pescatori, ebbe a paragonarli ai demoni che acchiappano le anime degli uomini come i pesci dall'acqua. Il paragone tra uccelli e demoni è consueto {non diversamente peraltro da quello tra uccelli e angeli), e poi è possibile che in quel caso non di oche si trattasse bensì di mergi, cioè di cormorani. Ma una successiva tradizione, basata sull'Epistola 1 - ad Bassulam di Sulpicio Severo, autorizza l'avvicinamento fra oca e cormorano. In altri termini, il santo, che pur si era tenuta un'oca vicino, non esitava poi a vedere in essa un possibile simbolo diabolico. Ambiguità, anzi polarità dei simboli, che hanno sempre un lato positivo e uno negativo, certo; e forse, chissà, un po' di rancore del santo nei confronti del volatile che gli aveva procurato la cattedra vescovile, con le relative grane; ma, molto probabilmente, coscienza profonda dell'evangelizzatore della necessità dì accordarsi con le antiche usanze e gli antichi riti precristiani, e al tempo stesso della pericolosità di tali riti.
E, difatti, l'oca psicagoga riemerge presto nella coscienza collettiva. L'oca è una grande marciatrice: al tempo di Plinio - quando già si cominciava ad apprezzare il suo fegato - si diceva che i branchi d'oche fossero capaci di arrivare dalla regione di Calais fino a Roma, sempre marciando a piedi: pare che le oche più stanche venissero portate nelle prime file, e le altre le spingessero. Marciatrice o psicagoga che fosse, alla fine dell'XI secolo troviamo l'oca guidare turbe di pellegrini diretti alla volta di Gerusalemme in quella. che siamo soliti chiamare la prima crociata: una specie di ver sacrum, sulle orme d'un animale evidentemente considerato dotato di sacralità. Lo stesso accadeva con certe capre; e non è certo per caso se, poche decine di anni dopo, noi troviamo appunto oche e capre come compagne e supporti delle streghe verso il sabba.
Questo apparato di forza sacrale non impediva che l'oca fosse un buon animale da cortile. Come tale lo rammenta già il Capitulare del villis, nell'800; ma a quanto pare la presenza delle oche non si diffuse granché per gran parte del medioevo nelle aie europee. I reperti osteologici confermano che l'avifauna domestica, tra XI e XV secolo, non era granché sviluppata in Francia, e pochissimo presente in Sicilia e in Basilicata. Solo in Toscana e nel Lazio giungeva a circa un terzo degli animali d'allevamento. Sembra comunque che Poca domestica sia andata imponendosi man mano che ci si addentra nel Basso Medioevo.
Quanto all'oca selvaggia, essa ha un' arcana presenza. Nel Perceval di Chretien de Troyes, il cavaliere Perceval, perduto nei suoi sogni, viene richiamato a un pensiero d'amore alla vista di tre gocce di sangue versate sulla neve da un'oca selvaggia inseguita da un falco. Da più parti si è notato come la caccia col falcone sia una metafora sessuale, e si è quindi posto il sanguinare dell'oca in rapporto con la perdita della verginità; ch'è appunto la tesi sostenuta dal Bettelheim nella sua esegesi della fiaba di Grimm La guardiana d'oche, dove si parla - ma, più che un tema folklorico, può trattarsi di una reminiscenza letteraria: le tre gocce di sangue sono passate dal Perceval di Chretien de Troyes al Parzival di Wolfram von Eschenbach - di un fazzoletto macchiato con tre gocce di sangue.
V'è comunque da chiedersi se il contrasto tra il candore dell'oca e il rosso del sangue - che rinvia ai due colori che, con il nero, sono i fondamentali nella tavola cromatica dell'Occidente medievale prima del Duecento - non abbia un più profondo contenuto archetipico, e non abbia ad esempio ispirato proprio l'arme araldica degli Obriachi, stirpe ghibellina fiorentina, un rappresentante della quale Dante ricorderà, come usuraio, nel Canto XVII dell'Inferno. Quest'arme non sembra di venerabile antichità o nobiltà; è probabile si tratti di un'insegna araldica d'una famiglia di non alti natali, che se l'era scelta sulla base d'una sorta di anagramma, come spesso accadeva in questi casi: difatti la parola Obriachi richiama i due termini misti di latino e d'italiano rubra e oca. Del resto, l'oca è abbastanza rara nell'araldica europea, il che si spiega tenendo presente che era andata divenendo sempre più animale da cortile. In Italia, l'esempio forse più tipico riguarda la famiglia Lucconi di Ravenna, la cui arme araldica è d'azzurro alla fascia scaccata d'argento e di nero a due file, sormontata da un'oca d'argento. Ma si spiega che, verso la fine del medioevo, l'oca potesse comparire sulle armi araldiche: il nascente umanesimo stava rimettendo in auge la tradizione romana, e con essa l'oca cessava di far pensare all'animale da cortile e tornava a presentarsi come la gloriosa guardiana capitolina. Nell'emblematica moderna, difatti, l'oca appare quale simbolo di vigilanza e di custodia.
Che l'oca fosse abitualmente preferita ai cani dagli antichi per la custodia dei pollai a causa del suo sonno leggero, sembra cosa certa. Ma in realtà, l' episodio capitolino - un episodio di veglia nella notte - torna a imporsi alla nostra attenzione come fondamentale. L'oca sta sul Campidoglio in quanto sacra a Giunone; ma talora si associa anche a Proserpina, in quanto la leggenda narra di Ercina, figlia della divinità infera Trifonio, la quale scherzando con Proserpina avrebbe fatto fuggire un'oca che aveva in mano; l'animale si era rifugiato in una grotta dalla quale sarebbe più tardi scaturita una fonte.
L'associazione dell'oca con gli Inferi, la fonte e la caverna richiama ancora, una volta a un tessuto mantico e psicagogico dell'animale, che - date le presenze di Giunone e di Proserpina - si tinge di significati metroaci, Nonostante il cortile che spesso la ospita, l' oca non ha quindi del tutto perduto il suo mistero. Non a caso, è popolarmente il "gioco dell'oca" quella sorta di oscuro percorso labirintico che si supera a colpi degli oggetti che sono per eccellenza simbolo del destino, i dadi. Ancora come i pellegrini, seguiamo l'oca nel gioco-viaggio verso la fortuna.
Leda e il cigno, incisione di ignoto artista rinascimentale.
L'oca, l'anatra e il cigno ricorrono spesso nel folklore e nelle leggende scambiandosi attributi e connotazioni.
La serie di Franco Cardini dedicata alla tradizione del simbolismo animale e dei bestiari, originariamente pubblicata sulla rivista Abstracta tra il 1986 ed il 1989 col titolo di Mostri, Belve, Animali nell'immaginario medievale, è integralmente ospitata su Airesis nella sezione Il giardino dei Magi. Si compone dei seguenti articoli:
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 1. Alla ricerca di un codice interpretativo
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 2. Enciclopedie, trattati, bestiari
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 3. L'unicorno
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 4. L'orso
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 5. Il drago
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 6. L'asino
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 7. Il cervo
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 8. L'aquila (prima parte)
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 9. L'aquila (seconda parte)
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 10. La chimera
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 11. L'oca
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 12. Il delfino
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 13. La civetta
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 14. La pantera
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 15. L'ariete
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 16. La giraffa
- Franco Cardini, Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale / 17. La conchiglia e la perla
Il sito personale di Franco Cardini: www.francocardini.net
Articolo pubblicato per la prima volta sulla rivista Abstracta n. 16 - giugno 1987, pp. 46-53, riprodotto per gentile concessione dell'autore che ne detiene i diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.