Newtoniana
Il sistema cronologico newtoniano: contesto e princìpi generali
Alessio Miglietta - Storico della cultura
Nel
1728, un anno dopo la morte di Isaac Newton, venne pubblicata, a
Londra, un’opera a cui il grande filosofo naturale aveva dedicato
gran parte delle proprie energie negli ultimi anni della sua esistenza:
la Chronology of Ancient Kingdoms Amended.
Lo stile arido del testo, l’atteggiamento esoterico
dell’autore (sempre riscontrabile nelle sue opere), lo studio
estremamente analitico, hanno indotto Richard Westfall, uno dei
maggiori biografi di Newton, a definire la Chronology
un’opera “dal tedio colossale”[1]: si tenterà,
con questo intervento, di renderla il più possibile
interessante, magari provando a smentire, almeno in parte, questo
tranciante giudizio. L’opera, dedicata alla cronologia antica,
s’inseriva nell’ampio dibattito, all’epoca molto
vivace, sull’età del mondo (anche e soprattutto nel
più ampio senso della storia naturale) e sulla correttezza della
cronologia sacra rispetto ai sistemi concorrenti delle altre
civiltà antiche. Le tesi dei libertini, dei preadamiti, ma anche
di più prudenti studiosi come John Marsham, minavano alle
fondamenta i principi di assoluta superiorità e antichità
della storia ebraica. Newton, convinto assertore della bontà di
un’interpretazione letterale della Scrittura, interviene in
difesa della storia sacra: lo fa confutando le antiche cronologie
greche, egizie, assire, babilonesi, mede e persiane, subordinandole
alla Scrittura, con l’utilizzo di metodologie in parte innovative
(come la datazione attraverso la precessione equinoziale, tentata per
la prima volta nella storia) e in parte mutuate dalla ormai secolare
letteratura dedicata alla cronologia, oltre che attraverso
l’analisi di (molte) fonti letterarie antiche e di (poche)
testimonianze archeologiche. I risultati di questi studi, resi pubblici
da Newton e da egli stesso ritenuti di pari dignità rispetto a
quelli raggiunti con i suoi Principia e con le altre sue opere edite,
suscitarono, all’epoca, moltissime critiche e rari
riconoscimenti: oggi sappiamo, invece, che la Chronology non avrebbe
avuto nemmeno lontanamente la fortuna degli altri lavori newtoniani
pubblicati, ma il suo valore inserito nel contesto storico in cui fu
pubblicata, e la sua esemplarità del metodo e del pensiero
newtoniani, sono oggi ingiustamente sottovalutati. Sottovalutati come
la stessa disciplina della cronologia antica che appare ormai acquisita
agli occhi della maggior parte dei contemporanei, ma che ha comportato
un ingente sforzo intellettuale e minuziose ricerche, prima di
consolidarsi; e per quanto possa sembrare incredibile, oggi non mancano
revisionisti che propongono interpretazioni radicalmente emendatrici,
anche nell’ambito di tale materia. Gli studi cronologici di
Newton, che risalgono originariamente agli anni settanta del XVII
secolo (gli stessi anni che lo videro cominciare ad approfondire tutti
i suoi interessi “occulti”, dall’alchimia alle
dottrine eretiche antitrinitarie), s’inseriscono in un più
ampio e personale progetto di ricerca (le cui vie percorse spaziavano
dalla matematica alla fisica, dall’ermetismo all’esegesi
biblica) che, in ultima analisi, non è altro che il tentativo di
avvicinarsi il più possibile alla conoscenza dell’unico
vero principio, inteso come il fondamento e l’origine di ogni
cosa: il principio divino.
Newton si presenta alla comunità degli eruditi del
tempo come un revisionista, visto il suo intento di accorciare, anche
sensibilmente, le tradizionali cronologie antiche delle civiltà
pagane, come la greca, l’egizia e quelle del vicino oriente. La
disciplina cronologica ha origini relativamente antiche e si è
sviluppata nel corso di oltre mille anni di studi, di analisi
approfondite e, come sempre accade (e accadrà) in tutte le
discipline, di innumerevoli abbagli ed errori. L’approccio
filologico e lo sviluppo di una percezione consapevole della
profondità del passato, con le sue differenze e le sue
evoluzioni, sono solo alcuni degli elementi che hanno stimolato e
accresciuto la precisione e l’attendibilità degli studi
cronologici. In verità, il principale motivo che spinse la
cronologia moderna all’approfondimento della disciplina fu il
desiderio, quasi l’impellenza, di calcolare il tempo esatto
trascorso dalla Creazione a fini escatologici: secondo questa
concezione, la fine del mondo potrà essere prevista solo
conoscendo il momento della sua genesi. Non a caso, già i primi
storici cristiani inauguravano le loro cronache con un riepilogo dei
tempi - spesso sintetico e frettoloso -– che partiva dalla Genesi
e giungeva ai loro giorni. A ciò si aggiunse, in séguito,
l’annosa diatriba sulla priorità cronologica delle
rispettive civiltà, diatriba originata dai primi teologi
cristiani, tra tutti Clemente di Alessandria,[2] che miravano a
dimostrare la maggiore antichità del popolo ebraico (di cui i
Cristiani sono gli eredi) rispetto, in particolare, a quello greco,
portatore, a loro parere, di una filosofia fallace e derivata, in
quanto pagana.[3]
A una cronologia di tipo relativo, che possiamo far
risalire alle più antiche civiltà, che data gli eventi e
le conquiste dell’incivilimento umani soltanto tramite un sistema
di computo che rimane interno a se stesso (ad esempio la datazione per
Olimpiadi, nella storia greca), si contrappone il sistema, più
moderno, di datazione assoluta, possibile tramite l’analisi
comparata della storia delle diverse civiltà e della stessa
storia naturale. Ecco il fulcro della moderna cronologia: se, ad
esempio, è considerata nota, tramite le fonti, la distanza
temporale tra la fondazione di Roma e il Consolato, non è
altrettanto pacifico collocare con precisione le due date in un
contesto temporale più ampio che comprenda tutte le altre
civiltà, presenti e passate.[4]
Per quanto riguarda le fonti scritte giunte in epoca
moderna,[5] in Grecia la prima testimonianza indiretta e attestata di
un sistema cronologico – sempre affiancato dalla scienza della
genealogia –[6], è attribuibile all’opera storica di
Timeo Siculo (IV secolo a.C.), basata sulla successione dei vincitori
delle Olimpiadi;[7] un analogo procedimento è seguìto
dall’astronomo e matematico Eratostene di Cirene (III secolo
a.C.)[8] (già qui si vede come storia e astronomia, ognuna con
le proprie specificità, condividano un medesimo scopo: la
datazione degli eventi, umani e naturali), a sua volta ripreso da
Apollodoro di Atene (II secolo a.C.)[9]. Per la civiltà egizia,
invece, il punto di riferimento iniziale sono le dinastie di Manetone
(III secolo a.C.),[10] il resoconto di Diodoro Siculo (i secolo a.C.) e
il libro II delle Storie di Erodoto (V secolo a.C.). A Tolomeo (ii
secolo a.C.), un altro astronomo, si deve il sistema di datazione
basato sull’anno d’insediamento del re di Babilonia
Nabonassar;[11] a Censorino (III secolo d.C.) un’ottima sintesi
della scienza cronologica fino ai suoi tempi, mentre i primi autori
cristiani, come già segnalato, si concentrano sulla
sincronizzazione degli eventi legati agli Ebrei e ai Gentili. Dal V
secolo d.C. in poi viene a consolidarsi la data di nascita di Cristo
(753 anni ab urbe condita), dopo il (non troppo preciso) calcolo di
Dionigi il Piccolo. Se si escludono gli studi sulla ricorrenza della
Pasqua cristiana (come quelli di Beda il Venerabile del viii secolo
d.C.) e sul calendario (si pensi al De anni ratione (1235) di Giovanni
Sacrobosco), l’interesse medievale per la cronologia si
ridurrà ai semplici riepiloghi, di cui si è già
accennato, posti in genere a prologo di storie, cronache e annali con
fini esclusivamente escatologici.
La rinnovata volontà di approfondimento delle
questioni legate alla cronologia è testimoniata dai grandi
trattati tardo-cinquecenteschi e secenteschi degli eruditi Giuseppe
Giusto Scaligero (1540-1609), James Ussher (1581-1656), Denis Petau
(1583-1652) e John Marsham (1602-1685), in cui profonda conoscenza
delle fonti, perizia nei calcoli astronomici e comparazioni minuziose
dei dati, hanno consentito di compiere passi determinanti per una
comprensione vieppiù precisa della successione cronologica degli
eventi. Nella stessa direzione si mossero astronomi e matematici come
Johannes Kepler (1571-1630),[12] Giovanni Riccioli (1598-1671),[13]
Johannes Hevelius (1611-1687),[14] Edmund Halley (1656-1742)[15] e lo
stesso Isaac Newton, come vedremo più avanti. In quegli anni si
ripresenta, più forte che mai, la questione della
sovrapponibilità tra storia sacra, cioè la storia e la
cronologia contenuta nella Bibbia, e la storia profana, cioè
quella descritta dagli storici pagani, e la conseguente risoluzione
delle reciproche incongruenze. Ma un’altra pericolosa breccia al
sistema cronologico tradizionale – che, nella versione concepita
da Ussher, che si basava sui fondamenti scritturali, vedeva fissato il
giorno della Creazione al 23 ottobre 4004 a.C. – si apre sul
terreno della filosofia, con il preadamitismo di Isaac La
Peyrère (1594-1676) che ipotizzava popolazioni più
antiche di quella discendente da Adamo,[16] ma anche su quello della
filosofia naturale e dell’antiquaria, con il ritrovamento e
l’interpretazione dei naturalia (reperti fossili e evidenze
geologiche) e artificialia (prime testimonianze archeologiche ), di cui
si riempiono, pian piano, le wunderkammer e le kunstkammer.
Già dall’antichità i resti fossili di conchiglie
rinvenuti anche in alta montagna hanno posto questioni complesse sulla
supposta immutabilità della configurazione geologica e
idrogeologica che il ricorso al diluvio universale aveva solo in parte
ricomposto.[17] L’idea di una possibile presenza di resti
pietrificati di specie viventi ormai estinte incontrava all’epoca
simili problemi: se nel 1726, le ossa di una salamandra gigante,
vengono ancora presentate ai membri della Royal Society di Londra
(quando ancora Newton ne era il presidente e autocrate) come i resti di
un “uomo antidiluviano”,[18] già nel 1770 si
riconosceva, in un fossile appena rinvenuto, la corretta assegnazione
dei reperti a un tipo di rettile gigante non appartenente a specie
viventi. In campo antiquario (l’archeologia classica è
ancora disciplina da costituirsi), a fianco dei vari e parcellizzati
ritrovamenti di epigrafi, monete e monumenti, i Marmi di Paro, una
collezione di incisioni marmoree recanti una cronologia dei principali
eventi della storia greca,[19] giungono a Londra nel 1627 e il loro
contenuto viene reso noto soprattutto tramite i lavori di Humphrey
Prideaux (1648-1724) e di John Marsham;[20] gli scavi di Ercolano e
Pompei inaugurano, a metà del xviii secolo, la fase pioneristica
di una nuova disciplina: l’archeologia moderna.
James Ussher (1581-1656)
Se da
una parte sembra aprirsi l’abisso sempre più profondo di
un passato umano e più genericamente naturale,[21]
dall’altra sono molte e strenue le resistenze di una porzione
significativa di eruditi legati alla tradizione di fondamento
scritturale che prevede un mondo (quindi non solo la mera storia
dell’uomo) non più antico di quattromila anni prima della
nascita di Cristo. Nel XVII secolo, quindi, si trovarono a scontrarsi
due visioni del passato, una che dubita, ancora minoritaria e spesso
vittima di censure, e l’altra che difende il tradizionale sistema
cronologico elaborato sulla base della Scrittura: in una situazione
così fluida, non è da considerarsi affatto straordinario
incontrare nello stesso momento, in una delle università
più importanti al mondo, il Trinity College di Cambridge, il
professore, già affermato, John Ray (1627-1705), pioniere della
tassonomia e critico sia dell’immutabilità della struttura
terrestre, sia dell’eccesiva brevità dell’età
del mondo stabilita dalla tradizione, e il giovane studente Isaac
Newton che, al contrario, non tarderà a dimostrare (lui che in
ambito della scienza naturale porterà a compimento la
rivoluzione scientifica anti-aristotelica) una determinata e convinta
adesione proprio alle concezioni opposte, fondate sul dettato
scritturale.
Al Trinity, Newton, parallelamente agli studi del
classico programma di stampo aristotelico impartito in tutte le
università dell’epoca (peraltro da lui non molto praticato
nei fatti, a parte un certo interesse per gli Elementi di Euclide, la
cui impostazione avrà echi nella struttura stessa dei
Principia), approfondì, da autodidatta, Cartesio, Galileo e
Gassendi. Non si può dunque parlare, in riferimento alla
formazione giovanile, di un’adesione newtoniana al pensiero
tradizionale, almeno nell’ambito che oggi chiameremmo
fisico-matematico. Ma gli studi a Cambridge si dovettero ben presto
interrompere per il ritiro forzato presso il suo paese natale, a causa
della peste che devastò Londra tra il 1665 e il 1666.
Nell’arco di quei pochi mesi di allontanamento forzato, egli
elaborò sia la teoria della luce e dei colori, sia quella delle
flussioni, oltre a porre le basi della stessa teoria della gravitazione
universale. Tutto ciò senza alcun confronto con altri matematici
e senza che nessuno ne avesse notizia per diversi anni a venire: Newton
agì da solo e tenne per sé tutti i risultati ottenuti, e
solo nel corso dei molti anni della sua esistenza li comunicò
all’umanità (nonostante, infatti, che parte dei suoi
lavori di ottica apparvero poco dopo nelle Philosophical Transactions,
l’Opticks venne pubblicata in prima edizione solo
quarant’anni dopo). In questo periodo la figura di Newton
è ancora molto affine a quella del natural philosopher della sua
epoca; appare cioè propenso a volgere il proprio sguardo al
futuro della conoscenza, si propone di aggiungere nuovi elementi che,
siano essi confermativi di teorie precedenti oppure letteralmente
rivoluzionari, s’inseriscono in un percorso il cui solco egli
sembra percepire proteso verso un’unica direzione: in avanti,
verso una generica idea di progresso. Le prime critiche e confutazioni,
presto sfociate in vere e proprie diatribe pubbliche, degli altri
filosofi naturali,[22] si basavano sulla diversa fiducia accordata alle
potenzialità della ragione umana e al mezzo della dimostrazione
matematica, che Newton ritenne in buon diritto di difendere a tutti i
costi e con tutte le armi a sua disposizione. I filosofi naturali
contemporanei di Newton, infatti, pressoché tutti meccanicisti,
ragionavano esclusivamente per verosimiglianze, non per certezze
matematiche. Questa incomprensione di fondo, suggerì a Newton,
già misantropo per propria indole, un comportamento sempre
più discreto, una vita lontana da ogni tipo di mondanità,
fino all’estremo isolamento.
Con il periodo di progressivo distacco
dall’alterità, egli volse lo sguardo verso il passato,
nella convinzione che la Verità fosse da ricercare in
un’epoca remota, in una prisca sapientia trasmessa direttamente
da Dio ai primi uomini sulla Terra,[23] sempre più corrotta fino
a essere quasi del tutto dimenticata.[24] Tra l’altro, proprio da
questo periodo in poi, Newton si concentrò sugli studi e sugli
esperimenti alchemici, su quelli cronologici e di storia sacra, su
quelli teologici e profetici. In quel caso, è bene ribadirlo,
l’attenzione era concentrata verso il passato, e così
rimase sempre, con un atteggiamento che ricorda da vicino quello tipico
dello storico, dell’erudito, ovverosia con l’intenzione di
scrutare e studiare idee e teorie risalenti, ormai rese obsolete dal
“progresso” della conoscenza, in antitesi quindi con
l’approccio del natural philosopher moderno, meno interessato
allo studio in senso storico della conoscenza e della scienza. Newton
si convinse di aver riscoperto leggi naturali già conosciute
dall’umanità ma poi dimenticate, e per questo ricercava la
Verità nelle fonti antiche (ermetiche e alchemiche secondo la
convinzione di una loro origine remotissima; filosofiche, in primis
tramite le scuole ellenistiche, neoplatoniche e stoiche; bibliche
attraverso l’esegesi storica e il calcolo cronologico; profetiche
tramite la decifrazione del testo sacro). È questo il Newton
più esoterico, colui che si chiuse nelle stanze del Trinity, tra
alambicchi e antichi scritti.
I primi studi storici di Newton sono infatti attestati in
manoscritti risalenti proprio agli anni settanta del Seicento
(cioè dopo il ritorno dal ritiro forzato) e i fondamenti del
sistema cronologico newtoniano si consolidarono già nei primi
anni ottanta, poco prima della pubblicazione dei Principia
(1687), testo che lo consacrerà a mito vivente, inaugurando
così l’ultima sua fase della vita, che diviene
progressivamente sempre più mondana e
“istituzionale”.[25] Anche in questo periodo e in quelli
successivi, Newton continuerà a studiare alchimia, teologia e
cronologia; anzi, quest’ultima diverrà il maggiore impegno
di studioso degli ultimi anni della sua vita: morì infatti
quando ancora era intento alla stesura dell’ultima versione della
summa del suo sistema cronologico, la Chronology of Ancient Kingdoms Amended
(pubblicata postuma nel 1728), che conteneva la spiegazione
particolareggiata di tutti i procedimenti utilizzati per ricostruire le
datazioni da lui ottenute, in anni di comparazioni e calcoli, con una
divisione in capitoli, dedicati ognuno a una civiltà antica: i
Greci, gli Egizi, gli Assiri, i Babilonesi e Medi, i Persiani. Pochi
anni prima, nel 1716, si diffuse in Europa (soprattutto in Francia)
un’epitome del suo sistema (strutturata come una schematica
successione di date ed eventi), in un’edizione, peraltro da lui
non autorizzata,[26] che suscitò immediate critiche e
stimolò una serie considerevole di confutazioni: la Short Chronicle (pubblicata poi come capitolo introduttivo della Chronology nel 1728).[27]
L’approccio newtoniano alla conoscenza ha una forte connotazione
rinascimentale, sia per la piena fiducia nei confronti delle risorse
razionali dell’uomo che, secondo tale impostazione, è in
grado di giungere alla verità (in netto contrasto con
meccanicisti cartesiani e cattolici post-tridentini), sia per il
carattere sincretistico dei propri studi e dei propri interessi. In
mente egli ha un vero e solo obiettivo: la decifrazione del linguaggio
divino, scritto tramite i caratteri impressi nel libro della natura,
nelle parole dei profeti, nelle metafore degli antichi alchimisti e nei
testi ermetici degli antichi filosofi. Oggetto della sua ricerca
è la chiave di lettura, non necessariamente lo scopo ultimo
delle diverse discipline che studia: non è il ritrovamento della
pietra filosofale che egli vuole ottenere durante i suoi esperimenti
alchemici, bensì la decifrazione del linguaggio ermetico degli
alchimisti; non è il futuro che egli vuole svelare nella sua
esegesi delle profezie bibliche, bensì il linguaggio profetico
proveniente da Dio; non soltanto è la priorità
cronologica di un popolo che egli vuole provare, ma anche e soprattutto
la provvidenza divina al di sopra della storia.
Il portato culturale in cui Isaac Newton s’immerse
era intriso di idee neo-platoniche,[28] ma subiva anche forti influssi
da parte del pensiero neo-stoico, soprattutto nella sua accezione
cristiana e filoniana. Sono, infatti, ravvisabili nell’opera
cronologica newtoniana – ma anche afferente la filosofia
naturale, l’attività di alchimista sperimentatore e in
quella di studioso di teologia – alcuni elementi che
indubbiamente provengono dal pensiero stoico.[29] La cosmologia
newtoniana si basa sul concetto dei cicli cosmici e della periodica
conflagrazione dell’universo, inteso come un grande essere
vivente. La centralità dell’allegoresi
nell’interpretazione dei testi ermetici e alchemici, come dei
miti antichi (approccio che negli studi cronologici di Newton
diverrà evemeristico, come vedremo infra), e la visione
cristologica e soteriologica (schiettamente ariane), avvicinano il
filosofo naturale inglese soprattutto alle idee dello stoico Crisippo
sulla natura di Dio e delle sue entità intermedie. Anche la
visione stoica del tempo non è estranea al pensiero di
Newton:[30] egli, infatti, ritiene possibile sia intendere il passato
(con la storia), sia prevedere il futuro (con lo studio delle profezie
bibliche) secondo una concezione millenaristica. Come a loro tempo
fecero gli storici cristiani, egli ricapitola l’intera storia
dell’umanità tramite il criterio cronologico, con
l’intento di mantenere la massima precisione e allo scopo
principale di fissare l’età complessiva del mondo,
necessaria premessa alla conoscenza della data del Secondo Avvento.
Newton avverte come relativamente imminente l’Apocalisse e non
manca di calcolarne la data aritmeticamente, con un approccio che
ricorda da vicino le tecniche della Qaballah;[31] sebbene
l’intento di analizzare la cronologia per fini escatologici,
nella convinzione di vivere in un mondo in decadenza e prossimo alla
fine, non sia centrale nei suoi studi (come già indicato), egli
comunque s’inserisce in quella corrente millenarista che
propugnava un approccio empirico e razionalista a discipline teosofiche
e millenariste e a cui aderirono esegeti come Henry More (1614-1687),
del ramista Johann Heinrich Alsted (1588-1638) e del geologo Thomas
Burnet (1635-1715).[32] Newton ritiene, stoicamente, che tutti gli
eventi, umani e naturali, successivi alla Creazione siano stati
predeterminati dalla volontà divina e che il corso del tempo si
limiti a dipanarli come se stesse srotolando un papiro già
scritto.[33] A partire dal tardo Seicento, il pensiero libertino,
materialista e atomista, teorizzò la sterminata e indefinita
antichità del mondo: la ciclicità del tempo stoico e la
linearità del tempo cristiano (che comunque prevede un inizio e
una fine)[34] furono quindi attaccate nei princìpi fondanti; e
furono proprio i libertini i più grandi rivali di Newton nel
terreno della storia e della cronologia. Egli, inseritosi
nell’aspra diatriba tra pre-adamiti, libertini e tolandiani, da
una parte, e difensori dell’ortodossia e della superiorità
della storia sacra su quella profana – con i quali si schiera
– dall’altra, sostiene la precedenza cronologica – e
più in generale la più risalente sapienza – del
popolo ebraico rispetto a tutte le altre civiltà (come fecero
anticamente Flavio Giuseppe e Clemente di Alessandria). Newton non ha
dubbi: la storia sacra non deve e non può essere emendata e,
così come deve accadere nell’ambito della filosofia
naturale, sarà la scienza profana ad adattarsi alle
verità rivelate dalla Bibbia. La superiorità del popolo
eletto, già sostenuta dagli antichi nazionalisti ebraici e dai
primi commentatori cristiani, è dovuta al dono divino della
prisca sapientia, che avrebbe compreso, oltre al monoteismo, la
corretta conoscenza della struttura dell’universo e delle leggi
naturali (che, quindi, Newton crede di ri-scoprire); l’idolatria
dei Gentili, giunti al mondo in epoca successiva, ne confonderà
i princìpi, consegnando all’oblio gran parte del vero
Sapere. Per Newton, che riprende Clemente di Alessandria,[35] gli
dèi pagani, come gli eroi e i personaggi mitologici (come
Saturno, Giove, Eracle o Minosse), sarebbero in realtà figure
divinizzate di antichi re, di legislatori e di valorosi guerrieri che
nel tempo avrebbero oscurato e sostituito, agli occhi dei pagani
sprovveduti, il vero Dio veterotestamentario: è questa una delle
versioni (speculare rispetto all’esegesi simbolica di Natale
Conti e all’allegoresi baconiana del De Sapientia veterum) della
teoria evemeristica, accreditata da molti eruditi e cronologisti
secenteschi nel più generale tentativo di ridurre il politeismo
a una corruzione del monoteismo originario. L’idea portante
dell’intero sforzo cronologico newtoniano è la convinzione
che i Gentili abbiano volontariamente esagerato
l’antichità delle proprie origini, sostanzialmente per
vanagloria (la celebre boria delle nazioni di vichiana memoria), ed
è il suo obiettivo ultimo dimostrare che le cronologie antiche
erano da “accorciare” di molti secoli. Ciò
perché il popolo più antico di tutti, dal quale secondo
il principio monogenista tutte le altre civiltà discendevano,
non poteva che essere quello della stirpe adamitico-noetica, quella che
accolse la prisca sapientia. Da questo punto fermo, parte la tesi del
diffusionismo culturale newtoniano: se l’ebreo è detentore
della conoscenza (teorica e tecnica) ottenuta dalle rivelazioni divine,
allora la sua diffusione tra le altre civiltà, tramite il suo
popolo (in modo sempre più frammentario, nel corso dei secoli, a
causa del contributo negativo delle idee pagane, come si è
appena detto), avviene per mezzo dei contatti commerciali, delle
spedizioni esplorative o delle conquiste militari (come nel caso di
Cerere a cui Newton attribuisce l’introduzione in Grecia
dell’agricoltura). Attraverso, poi, una spregiudicata serie
d’identificazioni di diversi personaggi mitici o storici, Newton
accorcia ulteriormente le genealogie greche e le dinastie egizie:
Dioniso, Osiride, Sesac e Sesostri sarebbero nomi diversi appartenenti
a uno stesso individuo.
Dalla lettura dell’opera storica e cronologica
newtoniana si desume un lavoro titanico sulle fonti, che presuppone
un’erudizione straordinaria; ma non tutte le fonti hanno per
l’autore lo stesso valore di attendibilità: se nella sua
gerarchia la Scrittura ha il primato indiscusso (tanto che, in caso di
discordanza, è sempre il dato biblico a essere preso per vero),
gli autori pagani più utilizzati, e più creduti
attendibili, sarebbero coloro che riferiscono testimonianze dirette o
fatti accaduti a breve distanza temporale dall’epoca in cui lo
stesso storico scriveva; per questo motivo Newton predilige Erodoto
(quando non affonda nelle epoche più remote) e Tucidide, e tiene
in poco conto autori come Manetone e Ctesia di Cnido.[36] La cura quasi
maniacale sulle fonti non si rispecchia in Newton nella cura dello
stile, come d'altronde è consueto nelle sue opere:[37] esso,
infatti, è arido, meccanico, pieno di divagazioni non sempre
necessarie; i protagonisti si muovono come automi privi di
personalità: è una storia puramente evenemenziale, dove i
fatti si succedono uno dopo l’altro, costruita su schemi
prefissati, rigidi processi d’incivilimento, con l’assoluta
dipendenza dalle fonti scritturali, secondo i princìpi
dell’evemerismo, del diffusionismo culturale, del monogenismo, e
con l’utilizzo letterale delle fonti senza una vera e propria
comparazione critica. Newton, nel pieno degli anni venti del XVIII
secolo, proprio quando si affacciavano le nuove visioni storiografiche
di Vico e poi di Voltaire, dimostra quindi la sua volontà di
guardare indietro verso gli eruditi e gli esegeti biblici della
metà del Seicento: se la storiografia del xx secolo ha
intravisto in lui “l’ultimo dei maghi”[38], a maggior
ragione ci sentiamo di definire Newton l’ultimo dei veri eruditi,
nell’accezione schiettamente secentesca.[39]
Non si può, per concludere, non ricordare che,
nonostante le criticità appena menzionate, il sistema
cronologico newtoniano riscosse un discreto interesse e una
significativo séguito tra i contemporanei e tra gli studiosi di
epoche successive. Si pensi alle esaltazioni entusiastiche di
Voltaire[40] e del giovane Gibbon[41] (che, a dire il vero, seguirono
poi percorsi ben diversi da quelli calcati dall'erudizione secentesca):
l'autorevolezza acquisita negli anni da Newton, il fascino che
suscitò negli storici la sua descrizione dell'universo, in grado
di descrivere il passato e prevedere il futuro[42] dei movimenti
planetari, fecero da cassa di risonanza alla sua opera storica e
stimolò molti a confrontarsi con essa. Al di là del
prezioso contributo agli studi biografici e metodologici specifici del
Newton uomo e filosofo naturale, il suo tentativo di datazione degli
eventi storici antichi ha diritto di essere ricordato come l'ulteriore
conferma di come la strada della storia della scienza sia lastricata da
errori geniali e conseguenti confutazioni. E nessuno s'illuda (Newton
ne era convinto) che quella strada porti sempre e comunque in avanti:
qualche volta la soluzione si trova alle nostre spalle, nascosta in
quello che noi chiamiamo passato.
Alessio Miglietta
Di Alessio Miglietta in Airesis, nella sezione I labirinti della ragione, sono ospitati i seguenti contributi:
- Alessio Miglietta, Da Zenone a Newton: la fisica stoica e i suoi influssi sulla nuova scienza
- Alessio Miglietta, Il sistema cronologico newtoniano: le applicazioni astronomiche e antiquarie
NOTE
[1] Cfr. R. Westfall, Never at Rest. A biography of Isaac Newton, Cambridge, 1980, p. 815.
[2] Cfr. Clemente di Alessandria, Gli stromati, xxi, 1.
[3] Ma che in realtà la cristianità, nei fatti, fece in parte sua.
[4] Timeo Siculo colloca la fondazione di Roma cento anni prima della
prima Olimpiade (Plutarco, Nicia, I, 1); ma entrambi gli eventi come si
devono collocare, ad esempio, rispetto alla genealogia dei faraoni
egizi?
[5] È bene ribadire che ci si riferisce alle fonti scritte a
disposizione in epoca moderna (cioè fino al xviii secolo),
quindi anche all’epoca di Newton. In séguito,
com’è noto, si aggiungeranno numerose fonti
dall’origine e tipologia assai diversificate.
[6] Il cui sommo esponente fu il mitografo Apollodoro. Cronologia e
genealogia sono le necessarie ancelle della storiografia antica.
[7] Concordandola con la successione degli Efori, dei re di Sparta, degli arconti di Atene e le sacerdotesse di Argo.
[8] Disponiamo di alcuni frammenti della sua opera cronologica tramite
la testimonianza indiretta di autori come Plutarco, Clemente di
Alessandria ed Eusebio di Cesarea.
[9] In gran parte noto tramite Diodoro Siculo, Plutarco, Taziano il Siro e Aulo Gellio.
[10] Tramite Diodoro Siculo, Sesto Giulio Africano, Eusebio di Cesarea, Flavio Giuseppe e Giorgio Sincello.
[11] Cioè il 747 a.C.
[12] Con i calcoli riferiti alle congiunzioni planetarie, che a suo
dire avrebbero causato l’apparizione della stella nova del 1604,
tenta di datare la nascita di Cristo (4 a.C.). Cfr. J. Kepler, De stella nova, Prague, 1606.
[13] Dopo aver datato con precisione eclissi del passato, egli aggiunse
una lista di importanti eventi umani che fossero da monito, una
commistione di astronomia scientifica e astrologia. Cfr. G. Riccioli, Almagestum Novum, Bononiae, 1651.
[14] Hevelius calcolò l’esatta posizione del Sole
sull’Eden nel giorno della Creazione, come anche la posizione del
Sole durante l’eclisse di Sole di Talete, al meridiano di
Danzica. Cfr. J. Hevelius, Prodromus Astronomiae, Danzig, 1690.
[15] Nel 1691 Halley fece uso delle datazioni astronomiche per
stabilire il tempo e il luogo dell’approdo in Inghilterra di
Giulio Cesare. Cfr. Philosophical Transactions of the Royal Society, London, 1691, XVI, n. 193, p. 495.
[16] Cfr. I. La Peyrère, Praeadamitae,
sive exercitatio super versibus duodecimo, decimotertio et
decimoquarto, capitis quinti epistolae D. Pauli ad Romanos, quibus
inducuntur primi homines ante Adamum conditi, Amsterdam, 1655.
[17] Ipotesi alternative prevedevano il concorso del vento che avrebbe
trasportato le conchiglie sulle montagne o il trasporto da parte di
pescatori divenuti improvvisamente scalatori provetti. Cfr. P. Rossi, I segni del tempo. Storia della Terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico, Milano, 2003, p. 23.
[18] L’Homo diluvii testis di Jacob Scheuchzer.
[19] Le iscrizioni contengono una cronologia compresa tra il 1582 a.C.
ed il 354 d.C., raccolta da Thomas Howard (1585-1646), XXI conte di
Arundel, e donata nel 1667 all’Ashmolean Museum di Oxford.
[20] H. Prideaux, Marmora Oxoniensia Arundellianis, Seldenianis aliisque conflata, Oxonii, 1676 (la fonte principale) e J. Marsham, Canon chronicus aegyptiacus, hebraicus, graecus, London, 1672.
[21] Paolo Rossi scrive: "Il parallelo fra la storia della Terra e la
storia civile, nato sul piano dell'analogia e della metafora, dà
vita a una metodologia e a una epistemologia di tipo "storico" che
interagisce, a sua volta, con le costruzioni storiografiche relative
alle più antiche civiltà". P. Rossi, I segni del tempo. Storia della Terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico, cit., p. 23.
[22] Difficile, se non impossibile, sottrarsi alle innumerevoli dispute
tra dotti, assai comuni all’epoca, nell’ambito della
Repubblica delle Lettere.
[23] Newton stesso, come confermato proprio da un passo della sua
Chronology, riteneva attendibile la leggenda che vedeva in Pitagora il
depositario di alcuni frammenti di verità ottenuti direttamente
da Mosè.
[24] Newton considerava il concilio niceno il momento massimo di corruzione della Verità.
[25] Newton, in séguito, diventerà membro del parlamento
inglese, direttore della Zecca di Londra, presidente della Royal
Society, precettore della progenie reale e protetto della regina.
[26] in realtà, nella volontà dell’autore, destinata esclusivamente alla corte reale.
[27] Oltre alle due opere segnalate, è giusto citare, tra i
tanti manoscritti rimasti inediti, il “The Original of
Monarchies” del 1695 che rimase incompiuto, ma che è la
realizzazione più importante del Newton puramente storico (anche
se non mancano alcuni riferimenti al sistema cronologico).
[28] Compreso l’ambiente universitario: il neoplatonico Henry More fu, tra l’altro, uno dei suoi maestri.
[29] Si pensi alla forza di gravità newtoniana: essa si comporta
proprio come lo pneuma stoico, un principio attivo agente a distanza
universale e semi-corporeo; quel principio attivo che il Newton
alchimista individua come la causa della coesione dei corpi, anche nel
microcosmo. Cfr. A. Miglietta, Teoria della materia e cosmologia in Isaac Newton: tra eredità stoica e nuova scienza, Genova, 2011 e id., Da Zenone a Newton, in www.airesis.net.
[30]Nel duplice aspetto del suo senso ciclico nel lungo periodo e del suo dipanarsi secondo i dettami della provvidenza divina.
[31] Cfr. D. Arecco, I Fatti e le Idee. Scienza, religione e società nell’Inghilterra moderna, Genova, 2007, p. 204; P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Bari-Roma, 2000, p. 355; R.S. Westfall, Never at Rest. A biography of Isaac Newton, Cambridge, 1980, p. 86 e F. Manuel, Newton Historian, New York, 1968, p. 153.
[32] Newton, More, Alsted parteciperebbero, secondo Popkin, alla
“terza forza del pensiero del XVII secolo”, basato sui
predetti presupposti epistemologici. Cfr. R. Popkin, The Third Force in Seventeenth-Century Thought, Leiden, 1992, pp. 90-91 e R. Bondì, L’onnipresenza di Dio. Saggio su Henry More, Soveria Mannelli, 2001, p. 87.
[33]Cfr. S. Sambursky, Physiscs of the Stoics, Princeton, 1987, pp. 65-71.
[34] Sull’argomento v. A. Miglietta, I segni del tempo. Le stelle nel mondo rurale e nell’immaginazione popolare, in «Anthropos & Iatria», 1, 2013, pp. 70-82.
[35] Cfr. Clemente di Alessandria, Gli stromati, I, 15.
[36] Un principio generale che concede però alcune importanti
eccezioni: Newton terrà in gran conto sia lo Pseudo-Apollodoro,
sia Igino Astronomo.
[37] Si pensi ai Principia, quasi illeggibili, e si paragoni lo stile
newtoniano a quello di un Galileo, uno tra i massimi prosatori della
nostra letteratura.
[38] Definizione dovuta al celebre economista John Maynard Keynes alla
luce del ritrovamento (di cui si rese protagonista) di numerosi
manoscritti alchemici redatti da Newton.
[39] Cfr. M. Sartori, Voltaire, Newton, Fréret: la cronologia e la storia delle antiche nazioni in «Studi settecenteschi», Vol. 7-8, 1985-1986, p. 164.
[40] Cfr. Voltaire, Lettres ecrites de Londres sur les Anglois, XVII, Basle, 1734.
[41] Cfr. E. Gibbon, Remarques critiques sur le nouveau systême de chronologie du chevalier Newton, in The Miscellaneous Works of Edward Gibbon, London, 1814, vol. 3, p. 152.
[42] La grande illusione degli storicisti e l'utopia (o distopia?) della psychohistory asimoviana.
Bibliografia selezionata
ARECCO, DAVIDE
I Fatti e le Idee. Scienza, religione e società nell’Inghilterra moderna, Genova 2007.
BUCHWALD, JED Z. E FEINGOLD, MORDECHAI
Newton and the Origin of Civilization, Princeton, 2012.
DOBBS, BETTY JO TEETER
The Janus Faces of Genius: The Role of Alchemy in Newton's Thought, Cambridge, 1991.
MANUEL, FRANCK E.
Newton Historian, New York, 1968.
MAMIANI, MAURIZIO
Introduzione a Newton, Roma – Bari, 1990.
MIGLIETTA, ALESSIO
Teoria della materia e cosmologia in Isaac Newton: tra eredità stoica e nuova scienza, Genova, 2011.
I segni del tempo. Le stelle nel mondo rurale e nell’immaginazione popolare, in «Anthropos & Iatria», 1, 2013, pp. 70-82.
Da Zenone a Newton, in www.airesis.net.
NEWTON, ISAAC
The Original of Monarchies, Cambridge, King’s College, Keynes Ms.146 (1702).
Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, London, 1726.
Chronology of Ancient Kingdoms Amended, London, 1728.
Trattato sull’Apocalisse, a cura di M. Mamiani, Torino, 1994.
Scritti storico-religiosi e filosofico-scientifici, a cura di D. Arecco e A. Miglietta, in corso di stampa.
ROSSI, PAOLO
Metamorfosi dell'idea di natura, Genova, 1999.
ROSSI, PAOLO ALDO
I segni del tempo. Storia della Terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico, Milano, 1979.
SARTORI, MARCO
Voltaire, Newton, Fréret: la cronologia e la storia delle antiche nazioni in «Studi settecenteschi», Vol. 7-8, 1985-1986.
Sitografia
NEWTON PROJECT: http://www.newtonproject.sussex.ac.uk/prism.php?id
Articolo riprodotto per gentile concessione dell'autore, che ne detiene i diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.