Le rivoluzioni dimenticate
In quel tempo c'era una donna ad Alessandria il cui nome era Ipazia[1]
Paolo Aldo Rossi - Ordinario di Storia del Pensiero Scientifico, Università di Genova
Ἐπὶ τοσοῦτον δὲ προὔβη παιδείς, ὡς ὑπερακοντίσαι τοὺς κατ’ αὐτὴν φιλοσόφους, τὴν δὲ Πλατωνικὴν ἀπὸ Πλωτίνου καταγομένην διατριβὴν διαδέξασθαι, καὶ πάντα τὰ φιλόσοφα μαθήματα τοῖς βουλομένοις ἐκτίθεσθαι. Διὸ καὶ οἱ πανταχόθεν φιλοσοφεῖν βουλόμενοι, κατέτρεχον παρ’ αὐτή
Ipazia
di Alessandria, figlia di Teotecno (figlio di Dio), ponderando un nomen
omen(Ὑπατία sta per «eminente» o «eccelsa»), ossia la sublime per
bellezza, per signorilità ed educazione, per cultura e sapere, morì per
questo orrendamente trucidata da parte dei cristiani fanatici mandati
dal loro vescovo Cirillo per “ὕβϱις”, ossia "prevaricazione" o
“tracotanza”, un'azione criminosa svolta allo scopo di umiliare il
nemico, la cui causa è data non da un vantaggio ma dal godimento che
l'autore dell'atto traeva dalla scelleratezza di quel che stava
facendo, mostrando la sua egemonia, fatta con violenza e brutalità,
sulla vittima ben più eccellente ed eminente, però colpevole di
dimostrare in ciò l’insignificanza e irrilevanza del nefando
seviziatore.
Ammiano Marcellino (Antiochia di Siria, 330 - Roma, 400 circa)
ricordava, da pagano, la setta dei cristiani, appena uscita dalle
persecuzioni, ma senza alcuna animosità, da storico: “Non ci sono belve
tanto infeste agli uomini da essere più dei cristiani addirittura
esiziali a se stessi” (Res Gestae, XXII, cap. 5, par. 4)[N]ullas
infestas hominibus bestias, ut sunt sibi ferales plerique Christianorum
expertus.
Con “rescritto di tolleranza” del 313 d.C. a Milano, Costantino
per l'Occidente e Licinio per l'Oriente concedevano a tutti i cittadini
dell’Impero, e quindi ovviamente anche ai cristiani, la libertà di
venerare le proprie divinità e quindi di dare attuazione alle misure
contenute nell'editto di Galerio del 311, con il quale era stato
definitivamente posto termine alle persecuzioni. “… ut daremus et
Christianis et omnibus liberam potestatem sequendi religionem quam
quisque voluisset, quod quicquid <est> divinitatis in sede
caelesti, nobis atque omnibus qui sub potestate nostra sunt constituti,
placatum ac propitium possit existere” (Lattanzio, De mortibus
persecutorum, capitolo XLVIII). Costantino non proibì mai il culto
pagano e dichiarò rispetto verso i credenti della vecchia religione e,
quando divenne cristiano (e se poi lo divenne), portò avanti l’idea di
tolleranza verso tutti(e d’altra parte non è possibile affermare se la
sua conversione sia avvenuta sinceramente o per calcolo politico).
Diocleziano aveva promulgato quattro editti (303-304) contro i
cristiani (gli ultimi), ma il 30 aprile 311 Galerio aveva emanato a
Nicomedia un editto in cui riconosceva la nuova religione e Costantino
e Licinio, per “la tranquillità comune e pubblica” e “l’interesse alla
pace religiosa”, avevano confermato l’obbligo che “fosse assicurato il
rispetto e la venerazione della Divinità” qualunque essa fosse, per
tutti e in particolare per i cristiani, “in modo che qualunque potenza
divina e celeste esistente possa essere propizia a noi e a tutti coloro
che vivono sotto la nostra autorità”. Costantino morì a Nicomedia (22
maggio 337) ma le cose non mutarono, anche sotto il nipote Giuliano il
Filosofo (ultimo imperatore pagano) che i cristiani presentarono come
un persecutore e apostata, anche se nel suo regno, in realtà, vi fu
tolleranza nei confronti di tutte le religioni, comprese le diverse
dottrine cristiane.
All'inizio del suo regno Teodosio (379 d. C.) insieme agli altri
due Augusti, Graziano e Valentiniano II, promulgò nel 380 l'editto di
Tessalonica, con il quale il credo niceno diveniva la religione unica e
obbligatoria dello stato (Codex Theodosianus, 16, 1.2) e per quanto
riguarda Alessandria (392) i decreti anti-pagani (Codex Theodosianus,
16, 10. 10 e 16.10.11) in cui il sacrificio agli dei pagani era
equiparato al crimine di lesa maestà e quindi alla pena di morte.
Era tutto capovolto e rovesciato e così il terribile vescovo
Teofilo di Alessandria diede inizio alla distruzione del Serapeo (“la
religione dei templi ad Alessandria e nel santuario di Serapide fu
dispersa al vento”. Eunapii, Vitae sophistarum, Vita di Eustazio, VII,
11, 3-5, Roma, 1956, 39-39) di cui dice Ammiano Marcellino: “E’ così
adorno di atrii con amplissimi colonnati, di statue che sembrano vive e
di opere di ogni genere, che non v’è nulla sulla terra di più fastoso
all’infuori del Campidoglio” (Res Gestae XII, 12). E non solo il
tempio, ch’era meta di pellegrinaggi da Roma e da Costantinopoli, ma
anche la grande biblioteca di Alessandria fu incendiata e distrutta dai
monaci di Wadi el Naarum, fanatici e faziosi, guidati da un papas cui
non mancavano enormi risorse sia d’uomini che di mezzi economici. Il
tempio venne demolito dalle fondamenta per cui dice Eunapio:
“lasciarono solo il pavimento e solo perché le pietre erano troppo
pesanti” e questo “per zelo e solerzia di Teofilo, l'imperatore ordinò
di distruggere i templi degli elleni in Alessandria e questo avvenne
per l'impegno dello stesso Teofilo” (Socrate Scolastico, Storia
Ecclesiastica V, 16.). A parlare sono rispettivamente: uno degli ultimi
filosofi ellenistici (Eunapio lo ierofante del culto eleusino [347-
414] e Socrate σχολαστικός [380-440], cristiano, teologo e avvocato.
Quando morì Teofilo, nel 412, che “fece tutto quello che era in
suo potere per recare offesa ai misteri degli elleni”, fu innalzato al
trono episcopale di Alessandria suo nipote Cirillo: questi, uomo
violento e autoritario,ebbe “molto più potere di quanto ne avesse avuto
il suo predecessore” e “si accinse a rendere l’episcopato ancora più
simile a un principato di quanto non fosse stato al tempo di
Teofilo”.nell’accezione che con il nuovo papas “la carica episcopale di
Alessandria prese a dominare la cosa pubblica oltre il limite
consentito all’ordine episcopale” (Socrate Scolastico, cit., VII, 7).
Perseguitò e tormentò i katharoi (i puri, chiudendo le loro chiese e
sequestrando i loro beni), i messalliani (asceti penitenti dediti alla
povertà, dando fuoco ai loro conventi), gli ebrei (cacciandoli dalla
città in cui erano la minoranza maggioritaria e dalle sinagoghe
diventate chiese cristiane), i pagani (gli elleni, sterminandoli e
massacrandoli, cfr, Ipazia) come d’altronde faceva con i suoi nemici
cristiani (condannando il vescovo siriano Nestorio e deponendo
l’arcivescovo e teologobizantino Giovanni Crisostomo) e i “miscredenti”
(Oreste prefetto di Alessandria il quale “s'indignò molto per
l’accaduto e provò un gran dolore perché una città tanto importante era
stata completamente svuotata di esseri umani” - Socrate Scolastico,
cit., VII, 7) e addirittura con tutti quelli che non la pensavano come
lui ideando una prima soluzione finale per gli ebrei. In una lettera
inviata al monaco Teodoreto, vescovo di Cirro, si legge di questo
“faraone cristiano”: "Insomma finalmente è morto quest'uomo terribile.
Il suo commiato allieta i sopravvissuti ma sicuramente affliggerà i
morti."
Questa è storia documentata, dalla quale esce un Cirillo
ridimensionato a politico mascalzone e la vicenda di Ipazia un evento
da criminali e non da santi.
Ma quando parla il Papa “ex cathedra”[2], l’episcopus servus
servorum Dei,è infallibile e chi non ci crede è oggetto di maledizione
e di bando dalla comunità religiosa: ἀνάϑεμα.
Nel Concilio di Costantinopoli II del 553 d.C. il papa Vigilio
non era presente (anzi era stato prima messo a domicilio coatto e poi
scomunicato, alla fine lasciato a Roma); al suo posto Eutichio
presiedette il sinodo e decretò: “Cirillo che è tra i santi, quello che
ha predicato la retta fede dei cristiani”; nel 1882 il terribile
vescovo fu proclamato Santo e Dottore della Chiesa, "dottore
dell'Incarnazione", da Papa Leone XIII[3] e lo riafferma, a più di un
secolo di distanza, Joseph Ratzinger: “seguendo le tracce dei Padri
della Chiesa, incontriamo una grande figura: san Cirillo di Alessandria
… fu più tardi definito custode dell’esattezza - da intendersi come
custode della vera fede - e addirittura sigillo dei Padri” (Benedetto
XVI. Udienza Generare Piazza San Pietro Mercoledì, 3 ottobre 2007).
Sebbene la comunità dei fedeli Copta, Romana e Bizantina lo
venerasse come tale (ma all’epoca ἄγιος era il puro o venerando e non
il sanctus, ossia il "sancito" dalla suprema autorità religiosa), il
cattolicesimo lo ha proclamato Dottore della Chiesa solo a un millenio
e mezzo di distanza e da parte di un papa che non brillava certo per
tolleranza e carità, seguito da un altro pontefice (Benedetto XVI) che
è un grande teologo e quindi di Cirillo conosceva gli scritti
dottrinari (http://www. Documenta catholica omnia eu/20300370-0444
Cirillus Alexandrinus, Sanctus. html), ma non ha studiato la vita di
questo “papas” violentissimo e furfante.
Vediamo questa storia utilizzando fonti contemporanee a Ipazia o
fonti più tarde (al massimo del X secolo) che riportavano i fatti
avvenuti all’inizio del V secolo, documentati come fatti storicamene
avvenuti, avendo presenti i libri persi ma presenti nella memoria degli
autori citati[4].
Oreste era il praefectus augustalis Alexandreae et Aegypti,
ossia il governatore della provincia romana d'Egitto scelto
direttamente dall'imperatore a cui senza intermediari rendeva conto e,
unico caso, aveva l'imperium militiae, ovvero il comando sulle truppe
cittadine, ma anche il vescovo aveva la sua milizia privata, i
parabolani[5] e gli esaltati suoi sostenitori alessandrini:[6]
Il vescovo aveva la legge dalla propria parte: la costituzione del 4
febbraio 384 dove il clero veniva a essere soggetto al solo foro
ecclesiastico.
Nel 414, nel corso di un'assemblea popolare, taluni ebrei
denunciarono al prefetto Oreste un certo “maestro di grammatica Ierace”
quale suscitatore di contrasti e discordie; questi era un sostenitore
del vescovo Cirillo, “il più attivo nel suscitare gli applausi nelle
adunanze in cui il vescovo insegnava”, ma secondo Giovanni di Nikiu, il
vescovo copto, che è dalla parte di Cirillo: “un cristiano che
possedeva comprensione ed intelligenza e che era solito dileggiare i
pagani”[7]. Ierace venne arrestato e torturato, al che Cirillo reagì
minacciando i capi della comunità ebraica, e gli ebrei reagirono a loro
volta assassinando alcuni cristiani. Era la solita storia fra ebrei e
cristiani e le ragioni erano soprattutto economiche, legate al
monopolio dei trasporti marittimi che l’imperatore aveva concesso ad
ambedue le comunità, mettendole così l’una contro l’altra.
Cirillo prese la palla al balzo, facendo bandire ed esiliare
tutti gli ebrei da Alessandria (si parla di 100.000 persone):
Il praefectus augustalis si rivolse, come era nei suoi poteri,
all'imperatore e rifiutò i tentativi di accomodamento del vescovo
alessandrino anche perché la soluzione non c’era per via del fatto che
“una citta tanto importante era stata completamente svuotata di esseri
umani”.
A quel punto Cirillo, avendo schiacciati tutti i suoi nemici, doveva attaccare Oreste e renderlo inoffensivo.
Oreste era un cristiano (e anche Giovanni di Nikiu, pur nella
sua parzialità, lo afferma, ossia “aveva smesso di andare in chiesa,
com'era in precedenza sua abitudine”) che per ragioni di stato doveva
essere neutrale, ma non poteva far finta di niente di fronte a un
simile pogrom contro gli ebrei.
Cirillo riunisce i parabolani dallo spirito arroventato e il
popolino i quali entrano in azione in massa contro il corteo di
Oreste:
A quel punto, essendo stato ferito il praefectus augustalis, la suprema
autorità civile, si radunarono i cittadini di Alessandria che
cacciarono i parabolani e imprigionarono Ammonio conducendolo da Oreste
che lo fece torturare:
Il vescovo fece sistemare la salma di Ammonio in una chiesa, di fronte
ai propri partigiani, e modificatogli il nome in Thaumasios,
l’ammirevole, lo innalzò al rango di martire cristiano, come se fosse
deceduto per sostenere e testimoniare il proprio credo religioso.
Cirillo, avendo visto che nulla avveniva secondo i suoi piani, “si
adoperò per far dimenticare al più presto l'accaduto con il silenzio”;
e così modificò i suoi programmi.
Qui inizia l’invidia, perché non è solo una calunnia, ma una
vera e propria “hybris”,una condotta biasimevole perché dannosa e
nociva dell'onore altrui, ossia un qualcosa che esce dalla sfera
dell'uomo per ricadere in quella delle bestie.
Cirillo si accorge che Oreste non può essere affrontato e
aggredito personalmente essendo il rappresentate dell’imperatore, per
cui si configurava il delitto di lesa maestà e quindi fatto martire
Ammonio - Thaumasios perché aveva testimoniato Cristo (a colpi di
pietra!) mette tutto a tacere cambiando obiettivo.
E’ qui che compare Ipazia per la prima volta nella tragica vicenda che avrà come fine il suo massacro, la quale:
Ed è qui che vicenda si complica: si dice che la filosofa pagana
facesse di tutto per impedire che il praefectus augustalis si
rappacificasse con il vescovo, usando addirittura le arti magiche.
Tutto questo non è riportato espressamente da fonti cristiane o pagane
contemporanee, ma soltanto dai fautori di Cirillo che credono in questa
accusa ingiustificata, proprio perché l’imputazione di magia comporta
la pena di morte per il codice Teodosiano e la persecuzione religiosa
contro i pagani è quasi sempre mascherata da oppressione del crimine di
magia[8] dove il popolino è convinto di farsi giustizia da solo. Questa
credenza o meglio pregiudizio è in circolazione fra il popolo e
nell’ambiente dei cirilliani tanto da diventare presso la chiesa copta
la versione veritiera e Giovanni di Nikiu, il rettore dei vescovi
dell’Alto Egitto, la riprende nel VII secolo dando di Ipazia una
testimonianza, da un punto di vista settoriale, di cui molti cattolici,
ancora oggi, sono convinti[9].
Invece Socrate Scolastico afferma che “Ftonos personificato si
levò in armi contro di lei …”(VII, 15). Ftonos era il demone
dell’invidia e della gelosia che genera la sofferenza fatta nascere non
solo dall'errore umano (il quale non fa altro che affrettare il
percorso verso la catastrofe) quanto piuttosto da un sovrapporsi di
questo con l'invidia degli dei che scombina ogni progetto deliberato.
Nonno di Panopoli, ultimo poeta ellenistico e contemporaneo di
Ipaziae di Socrate (però schierato con Cirillo), scrive le stesse
parole:
Era il mese di marzo del 415 e correva la Quaresima, tempo di digiuno e
di penitenze, e i parabolani erano infuriati e furibondi; fra loro
circolava e si diffondeva l’insinuazione e l’accusa infondata che la
“maga-filosofa-pagana” fosse l’unica responsabile del dissidio fra le
due massime autorità alessandrine:
A parlare non è un pagano, un giudeo, un eretico o un ariano come
Filostorgio, un coevo che dice “La donna fu fatta a brandelli per mano
di quanti professavano la consustanzialità” (Historia Ecclesiastica,
Patrologia Graeca, vol. LXV) o un monofisita del VI secolo come
Giovanni Malala che dice “avuta licenza dal loro vescovo, gli
alessandrini massacrarono e bruciarono Ipazia” (Ioannis Malalae,
Chronographia de Gruyter, Berlin)ma un avvocato cristiano
contemporaneo, vicino alla Corte di Costantinopoli, disturbato e
disgustato dalla chiesa di Cirillo (come, peraltro, ce ne furono tanti).
L'ultimo scolarca dell'Accademia di Atene, Damascio (480 ca -550
ca) era andato intorno al 485 ad Alessandria, quando era ancora forte
il ricordo di Ipazia e di Cirillo, il quale “si rose a tal punto
nell'anima che tramò la sua uccisione, in modo che avvenisse il più
presto possibile, un'uccisione che fu tra tutte la più empia” [πάντων
φόνων ἀνοσιώτατον] (Damascio, Vita Isidori, Hildesheim, Olms 1967, 79,
24-25).
Così accadde che un giorno Cirillo, vescovo della setta di
opposizione, passò presso la casa di Ipazia, e vide una grande folla di
persone e di cavalli di fronte alla sua porta. Alcuni stavano
arrivando, alcuni partendo, ed altri sostavano. Quando lui chiese
perché c'era là una tale folla ed il motivo di tutto il clamore, gli fu
detto dai seguaci della donna che era la casa di Ipazia il filosofo e
che lei stava per salutarli. Quando Cirillo seppe questo fu così
colpito dalla invidia che cominciò immediatamente a progettare il suo
assassinio e la forma più atroce di assassinio che potesse immaginare.
Un giorno che Ipazia come suo solito tornava a casa da una delle sue
pubbliche apparizioni, le piombò improvvisamente addosso una
moltitudine di uomini imbestialiti. Questi veri sciagurati, incuranti
della vendetta dei numi e degli umani, massacrarono la filosofa. E
mentre ancora respirava un po' le cavarono gli occhi. Fu una macchia
enorme, un abominio per la loro città. E l'ira dell'imperatore si
sarebbe abbattuta violentissima su di loro, se Edesio non fosse stato
corrotto, così da sottrarre i macellai [σφαγεῖς = immolatori] alla loro
pena. (Suida Lexicon, Adler, Lipsia, Teubner 1967-71 IV pag. 644, 32 e
645 1-12)
Dopo il massacro di Ipazia fu avviata un'indagine alla Corte di
Costantinopoli dove governava di fatto Elia Pulcheria, sorella di
Teodosio II (401-450), un imperatore di 12 anni, che era molto vicina
alle posizioni del vescovo (era cristiana devota e aveva fatto voto di
castità) e quindi Cirillo riesce a ottenere l’insabbiameno per la
disonestà e la corruzione dei funzionari imperiali (Damascio, 81,
7-8.). Giovanni Malalas afferma che “gli alessandrini, col permesso del
vescovo, bruciarono Ipazia, un'attempata donna, [aveva fra i 45 e i 55
anni] filosofa insigne, da tutti considerata grande” (Cronografia 14 -
PG 97, 536).
Certamente la versione degli eventi data dai partigiani di
Cirillo e giunta alla Corte dell’Imperatore era ben diversa: questi
utilizzarono la tradizionale accusa di magia per la quale c’era la pena
di morte nel diritto romano (principalmente durantel'età imperiale)[11]
Vediamo cosa dice, riprendendo il tutto da fonti del V secolo, il vescovo copto Giovanni di Nikiu (cfr. nota 9):
… apparve ad Alessandria una filosofa femmina, una pagana di nome Ipazia, che dedicava tutto il suo tempo alla magia, agli astrolabi e agli strumenti musicali, e abbindolava molte persone con i suoi inganni satanici. E il governatore della città la onorava esageratamente; perché lei aveva sedotto anche lui con la sua magia. E così lui aveva smesso di andare in chiesa, com'era in precedenza sua abitudine. E non solo, ma aveva portato dalla parte di lei molti credenti. E lui stesso riceveva i miscredenti nella propria dimora.
Ipazia, “la donna pagana che aveva stregato il popolo della città e il
prefetto con i suoi incantesimi” doveva essere messa a morte, ma
essendo Oreste “sedotto anche lui con la sua magia” e dagli inganni
satanici dovevano punirla i credenti guidati da un chierico
irreprensibile anche sotto l’aspetto dottrinario:
Filostorgio ci racconta “La donna fu fatta a brandelli” [διασπασθῆναι]
e Socrate “la massacrarono usando cocci aguzzi e la fecero a brandelli”
[διασπάω = fare a pezzetti, dilaniare] e Damascio (riportato da Suda)
“una folla di uomini spietati e feroci che non ‘temono né la punizione
divina né la vendetta umana’[Omero] la aggredì e la tagliò a pezzetti,
e mentre ancora respirava un po' le cavarono gli occhi, commettendo
così un atto oltraggioso e disonorevole contro il loro paese d'origine"
La morte di Ipazia è una vera ed propria θῦσία, un rito
sacrificale, una cerimonia sacra celebrata sull’altare del dio
cristiano nel suo tempio (una volta chiamato il Cesareo, ma poi
cristianazzato). Il vocabolo ἱερεύς (hiereus) significa tanto il
sacerdote quanto il sacrificatore di offerte, ma per i cristiani è il
“ministro di Dio” che usa il pane e il vino, mentre il termine sphageis
[σφαγεῖς]“sacrificare” o quello di thysia [θῦσία] lo si usa presso i
parabolani di Cirillo come uno dei peggiori insulti contro i pagani
elleni. Il termine ἱερεῖονsta per vittima “immolata” quanto “macellata”
e hiereion designa sia la vittima del sacrificio che l’animale da
macello, ma diversamente lo sphagion è un animale sgozzato e fatto a
pezzi, ma di cui non si consumano le carni. Inoltre per gli “elleni” (e
tutti i greci dall’età omerica a quella ellenistica”) il macellaio che
accoltella e squarta le vittime sacrificali ha lo stesso nome del
sacrificatore che presiede al rito religioso, nonché del cuoco
incaricato di cuocere le carni delle vittime dopo il sacrificio: ossia
il magheiros che ha la sua radice etimologica condivisa il termine magia.
Ma chi sono questi uomini che partecipano e portano a compimento
quell’orrendo sacrificio? Dice Eunapio dei parabolani: “ma non erano
neppure uomini, se non in apparenza perché facevano la vita da porci e
compivano apertamente e assecondavano crimini innumerevoli e
innominabili” (Vita di Eustazio VI, 11, 35). Sono i partigiani del
vescovo di Alessandria il quale ben sa, perché in gioventù faceva parte
di questi setta di monaci, che basta lasciarli sfogare.E’ la vittoria
completa di Cirillo: un’intimidazione diretta verso Oreste non soltanto
come vendetta nei confronti della morte di Ammonio, ma essendo Ipazia
colpevole di professare le arti magiche atte ad abbindolare e stregare
l’intero popolo, la massa dei credenti avrebbe messa in atto una
esecuzione legittima anzi un sacrifico rituale.
Dopo il massacro della filosofa il risentimento e l’indignazione
di Oreste non riuscì a ottenere che l'ira dell'imperatore (minorenne)
si abbattesse “violentissima” su gli assassini se Edesio non fosse
stato corrotto e Pucheria non fosse così devota a Cirillo.
Ma storia, se ha assolto il vescovo sul piano giudiziario, non
lo ha fatto su quello politico ed ha elevato Ipazia a una delle donne
più eminenti di tutti i tempi.
Fonti antiche
- Arato, Phaenomena, ed. J. Martin, Arati phaenomena, Firenze, La Nuova Italia, 1956
- Ammiano Marcellino. Res gestae, ed. C.V. Clark, Ammiani Marcellini
rerum gestarum Libri qui supersunt, Berolini, 1910; trad. it. A. Selem,
Le storie, Torino, Utet, 1973.
- Cirillo di Alessandria, Homilia VIII, in Jacques Paul Migne, Patrologia Graeca, vol. LXXVII.
- Codex Theodosianus, ed. Th. Mommsen, P. Meyer (Berlin 1905), rist.
Hildesheim, Weidmann, 1990; trad. ingl. C. Pharr, The Theodosian Code,
Princeton, Princeton University Press, 1952
- Eunapio = Eunapii Vitae sophistarum, ed. I. GiangrandeTypis Publicae
Offìcinae Polygraphicae, Romae 1956. trad. ingI. W.C. Wright,
Philostratus and Eunapius. The lives of the Sophists, London, Heinemann
Cambridge, Harvard University Press, 1921
- Esichio di Mileto, Fragmenta, in «Fragmenta Historicorum Graecorum», Paris, Didot 1841-1870.
- Eusebio, Historia Ecclesiastica, ed., G. Bardy, Eusèbe de Césarée.
Histoire ecclésiastique, (I-IV), Paris, Les Editions du Cerf, 1952).
- Damascio, Vita Isidori, Hildesheim, Olms 1967. Damascius. The
Philosophic History, testo, trad. e note di P. Athanassiadi, Athens,
Apamea Cultural Association, 1999.
- Filostorgio, Historia Ecclesiastica, in J. P. Migne, Patrologia
Graeca, vol. LXV; Epitome in Fozio, Bibliotheca, 8 voll., Paris, Les
Belles Lettres 1959 - Kirchengeschichte, ed. ]. Bidez, Akademie Verlag,
Berlin 1981.
- Iamblico di Calcide, Vita Pythagorica, ed. L. Deubner, Leipzig,
Teubner, 1937 Vita di Pitagora, in Summa pitagorica, traduzione di
Francesco Romano, Bompiani, Milano, 2006.
- Giovanni di Nikiu = Chronique de Jean, éveque de Nikiou, texte
éthiopien publié et traduit, a C. di H. Zotenberg, Paris 1883; The
Chronicle o/John, Bishop o/ Nikiou, trad. ingl. e note di R.H. Charles,
London-Oxford 1916 (fotorist. Evolution Publishing, 2007).
- Giovanni Crisostomo, Patrologiae cursus completus (series Graeca), ed. J.P. Migne, Commentarium in Isaiam, tt. 50-51
Cum Imperatrix media nocte in magnam ecclesiam venissett. 63, colI. 457-472
Cum Saturninus et Aurelianus acti essent in exsilium, t. 52, colI. 413-420
Sermo antequam iret in exsilium, t. 52, colI. 427-436
De sacerdotio, (I-V), ed. A.M. Malingrey, Jean Chrysostome. Sur le sacerdoce, Paris, Les Éditions du Cerf, 1980
De virginitate, ed. H. Musurillo, B. Grillet, Jean Chrisostome. La viginité, Paris, Les Éditions du Cerf, 1966
Epistulae ad Olympiadem (1-17), ed. A.M. Malingrey, Jean Chrysostome. Lettres à Olympias, Paris, Les Éditions du Cerf, 1968
- Malala = Ioannis Malalae Chronographia, ree. Ioannes Thurn, de
Gruyter, Berlin 2000 (trad. ingl. in The Chronicle o/ John Malalas
Melbourne 1986 (Byzantina Australiensia, 4).
- al-Mas'udi = Maçoudi, Les prdiries d'or (Muruj al-dhahab), ed.
rivista e corretta da c. Pellat, Beirut, I-VII, 1966-1979 (1a ed.
Paris, Imprimerie Impériale, I-IX, 1861-1877).
- Niceforo Gregora = Nicephori Gregorae Byzantina Historia, I, ed. L. Shopen, Bonn 1824.
- Marino di Neapoli, Vita Procli, ed. F.I. Boissonade, Amsterdam, Hakkert, 1966
- Olympiodoro, In Platonis Alcibiadem commentarii, ed. L.G. Westerink,
Olimpiodorus. Commentary on the first Alcibiades of Plato. Amsterdam,
Hakkert, 1956
- Palladas, in Antologia Palatina, a cura di P.M. Pontani, Torino,
Torino, Einaudi, 1978. Anthologie grecque. Première partie. Anthologie
Palatine, edd. P. Waltz, G. Soury, Paris, Les Belles Lettres, 1974,
voI. VIII
- Palladio, Dialogue sur la vie de Jean Chrysostome, ed. A.M. Malingrey, p. Leclerq, Paris, Les Éditions du Cerf, 1988
Plotino, Enneades, edd. P. Henry, H.-R. Schwyzer, Plotini Opera,
Leiden, Brill, 1951; trad. it. G. Faggin, Enneadi, Milano, Rusconi, 1992
- Rufino = Die lateinischen Obersetzung des Rufinus, ed. T. Momsenn, in Eusebius Werke, ed. E. Schwartz, II, 2, Leipzig 1909.
- Porfirio, Vita Plotini, edd. P. Henry, H.-R. Schwyzer, Plotini Opera,
Leiden, Brill, 1951, val. I; trad. it. G. Faggin, Vita di Plotino, in
Plotino, Enneadi, Milano, Rusconi, 1992
- Proclo, Theologia Platonica, edd. H.D. Saffrey, L.G. Westerink,
Proclus. Théologie plationicienne, 3 volI. (lib. 1-3), Paris, Les
Belles Lettres, 1968; trad. it. E. Turolla, La teologia platonica,
Bari, Laterza, 1957.
Psello, Encomium in matrem, ed. e trad. it. U. Criscuolo, Autobiografia. Encomio per la madre, Napoli, D'Auria, 1990
- Rufino, Historia Ecclesiastica, ed. T. Mommsen Die lateinischen
Ubersetzung des Rufinus, in Eusebius Werke, ed. E. Scwartz, II, 2 ,
Leipzig, 1909
- Sinesio = Sinesio, Opere. Epistole, operette, inni, a cura di A. Garzya, Utet, Torino 1989. ,
- Socrate Scolastico, Kirchengeschichte, hrsg. von G.C. Hansen, mit
Beitr. von M. Sirinjan, Akademie Verlag, Berlin 1995 (Die griechischen
christlichen Schriftsteller der ersten Jahrhunderte, N.F., 1) - in J.
P. Migne, Patrologia Graeca, vol. LXVII.
- Socrate de Constantinople, Histoire Ecclésiastique, Les Éditions du Cerf, Paris 2004-2007] .
- Sofronio di Gerusalemme = Sancti Sophronii Hierosolymitani Patriarchae Laudes in SS. Cyrum et Ioannem, Migne, PG 87/III.
- Sozomeno, Historia Ecclesiastica, in J. P. Migne, Patrologia Graeca, vol. LXVII.
- Suda, Lexico'n, ed. A. Adler, Leipzig, Teubner, 1928-1938.
- Teodoreto di Cirro, Historia Ecclesiastica, Berlin Akademie Verlag 1954.
- Teone di Alessandria, Commentaria in Ptolomaei syntaxin mathematicam
I-II, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 1936.
- Teone, Commentaria in Ptolomaei syntaxin mathematicam III-IV, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 1943.
- Teone, Le Petit commentaire de Théon d’Alexandrie aux Tables faciles
de Ptolomée, tr. da A. Tehon, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica
Vaticana 1978.
- Zosimo, Historia nova ed. F. Paschoud, Histoire nouvelle. Paris, Les Belles Lettres, 1986
Note
[1] Socrates Scolasticus,
Kirchengeschichte, G. C. Hansen, Academie Verlag Berlin, 1995. La
Storia ecclesiastica fu pubblicata per la prima volta in greco da
Robert Estienne, Codex Regius 1443 (Parigi, 1544). L'edizione critica
più recente del testo è stata curata e pubblicata nella serie
Griechischen Christlichen Stiftsteller.
[2]La Pastor Aeternus è una Costituzione dogmatica sulla fede cattolica del Concilio Ecumenico del 18
luglio 1870 (Pio IX)/Capo IV
“Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi
della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per
l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli
cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e
definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla
ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e
di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere
Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola
tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona
del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino
Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina
intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano
Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della
Chiesa. Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa
Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema.”
[3] Riprende la Non expedit di Pio IX, rendendo impossibile la
partecipazione dei cattolici italiani alle votazioni e ai suffragi,
cioè alla vita politica dello Stato. E’ l’arcinemico di Giordano Bruno:
quando la capitale era messa a ferro e fuoco per la statua del filosofo
in Campo dei Fiori, chiamò a raccolta i fedeli dicendo che "non
possedeva un sapere scientifico rilevante”.
[4] I contemporanei sono: il cristiano Socrate Scolastico (380 - 440
ca), il filosofo pagano Eunapio (347- dopo il 414 ca), l’ariano erudito
Filostorgio (368 - 439 ca), il vescovo e neoplatonico Sinesio di Cirene
(370 ca - 413), il teologo Teodoreto (393 - 457 circa) … il filosofo
Damascio (462 - 538 d.C.), il vescovo copto Giovanni di Nikiu (inizio
VII sec.), la Suda o Suida, un lessico-enciclopedia del X secologreco
bizantino
[5] Chierici che si dedicavano inizialmente alla cura dei malati, alla
sepoltura dei morti e a opere di misericordia. La loro scelta e il loro
controllo erano messi in pratica dal vescovo che ben li conosceva per
via del fatto che, prima di assumere la cattedra alessandrina, Cirillo
aveva abitato a lungo tra loro nel deserto e poi li aveva assimilati
nel corpo dei parabalani (inizialmente i membri di una confraternita
nella Chiesa delle origini, poi usata dal vescovo di Alessandria).
Erano in 5/600 e il Codex Theodosianus li aveva messi sotto la
supervisione del Praefectus Augustale, pur essendo agitatori politici
dalla parte del “papas”, che riunivano con loro il popolo cristiano.
Non avevano né ordini né voti, ma erano elencati tra il clero e
godevano di privilegi e delle immunità degli ecclesiastici e
costituivano anche la guardia del corpo del vescovo.
[6] Socrate Scolastico, 7.13.14 pp. 357-360 Hansen - il dissidio fra Cirillo e Oreste
[7]Giovanni di Nikiu = Chronique de Jean, éveque de Nikiou, texte
éthiopien publié et traduit, a C. di H. Zotenberg, Paris 1883; The
Chronicle of John, Bishop o/ Nikiou, trad. ingl. e note di R.H.
Charles, London-Oxford 1916 (fotorist. Evolution Publishing, 2007).
[8] Ad es. Cod. Theod. IX 16,1-2 (320); XVI 10,1 (320/321); IX 16,3 (321).
[9]- Giovanni di Nikiu = Chronique de Jean, éveque de Nikiou, texte
éthiopien publié et traduit, a C. di H. Zotenberg, Paris 1883; The
Chronicle o/John, Bishop o/ Nikiou, trad. ingl. e note di R.H. Charles,
London-Oxford 1916 (fotorist. Evolution Publishing, 2007).
[10]Nonno di Panopoli, Dionisiache, a cura di Gigli Piccardi D., BUR, Rizzoli, Milano 2004, pp. 117 e sgg.
[11] Si va dalla lex Cornelia de sicàriis et venèficis
promulgatanell’81 a.C. dal dittatore Silla, per cui i colpevoli
potevano essere impunemente aggrediti e messi a morte da qualsiasi
cittadino, al Codex Theodosianus del 437, che è una fonte selettiva che
riunisce tutte le leggi anche costantiniane che prevedono la pena di
morte per i colpevoli di arti magiche ed eresia.
Di Paolo Aldo Rossi in Airesis, nella sezione Il Giardino dei Magi, sono ospitati i seguenti contributi:
- Paolo Aldo Rossi, Marsilio Ficino: dalla Cristianizzazione della Magia alla Magicizzazione del Cristianesimo
- Paolo Aldo Rossi, Ut Pictura Poësis. il gioco dei Tarocchi fra Ermetismo e Teatro della Memoria
- Paolo Aldo Rossi, L'utopia rosacrociana nell'età di Bacone e di Cartesio
Nella sezione Le Stagioni della Follia, è ospitata la serie completa di interventi da titolo Horror et Amor Diabolicus, dedicata al fenomeno della stregoneria tra medioevo e rinascimento:
- Paolo Aldo Rossi, Horror et amor diabolicus / 1. Le fantasie psicopatiche delle streghe
- Paolo Aldo Rossi, Horror et amor diabolicus / 2. L'unguento per volare al sabba
- Paolo Aldo Rossi, Horror et amor diabolicus / 4. I tempi della tolleranza
- Paolo Aldo Rossi, Horror et amor diabolicus / 4. Il prologo della repressione
- Paolo Aldo Rossi, Horror et amor diabolicus / 5. L'inizio del dramma persecutorio
- Paolo Aldo Rossi, Horror et amor diabolicus / 6. Il Malleus maleficarum
- Paolo Aldo Rossi, Horror et amor diabolicus / 7. Il rapporto etnico-culturale
- Paolo Aldo Rossi, Horror et amor diabolicus / 8. I tempi negati alla speranza
- Paolo Aldo Rossi, Horror et amor diabolicus / 9. Il tema della tortura
Nella sezione Recensioni sono inoltre recensiti i seguenti testi, scritti o curati da Paolo Aldo Rossi: